Con la microscopia moderna si è cominciato a curiosare all’interno dei minerali che costituiscono le rocce, scoprendo a volte ospiti inattesi nei reticoli cristallini. E’ il caso della recente scoperta fatta da un gruppo di scienziati italiani che hanno identificato una serie di protrusioni di dimensioni nanometriche all’interno di una roccia vulcanica. Queste “bolle” deformano la struttura dei minerali, creando ondulazioni e rigonfiamenti dei loro reticoli cristallini.
Le moderne tecniche di microscopia a forza atomica (AFM) consentono di investigare oggetti piccolissimi dell’ordine del milionesimo di millimetro ingrandendoli fino a 200 mila volte. Questi microscopi non usano la luce come sorgente bensì l’interazione tra una nanopunta e la superficie da studiare, che consente di superare il limite del potere risolutivo dei più comuni microscopi ottici. L’utilizzo del microscopio AFM consente di “vedere” un mondo fino a poco tempo fa inesplorato e i risultati sono sorprendenti soprattutto per quel che riguarda gli studi in biologia, medicina e geologia.
Bolle nelle rocce
Con la microscopia AFM si è cominciato a curiosare all’interno dei minerali che costituiscono le rocce, scoprendo a volte ospiti inattesi nei reticoli cristallini. E’ il caso della recente scoperta fatta da un gruppo di scienziati italiani che grazie a tecniche AFM sofisticate hanno identificato una serie di protrusioni di dimensioni nanometriche localizzate negli strati di minerali tipo-miche all’interno di una roccia vulcanica. Queste bolle deformano la struttura dei minerali, creando ondulazioni e rigonfiamenti dei loro reticoli cristallini.
Serbatoi di idrocarburi
Per capire di che cosa fossero fatte, i ricercatori hanno utilizzato tecniche di microspettroscopia Raman, molto sensibili a rilevare singole molecole presenti sotto la superficie e dentro le bolle. I risultati sono sorprendenti, perché le immagini mostrano che queste bolle sono riempite da idrocarburi e altra sostanza organica. E’ una scoperta importante che ha grosse implicazioni, dal momento che è la prima evidenza di minerali magmatici (e non rocce) che si comportano come veri e propri “serbatoi” di idrocarburi. Le reazioni tra il magma, i fluidi e i gas in profondità potrebbero essere all’origine della formazione di queste molecole organiche nelle porzioni più profonde della crosta terrestre con implicazioni importanti anche in campo biologico.
L’alba della vita
Studi simili su rocce prelevate in prossimità della dorsale medio oceanica in Atlantico hanno permesso di identificare comunità di batteri sviluppatesi grazie alle trasformazioni delle rocce del mantello legate alla circolazione di acqua che penetra in profondità attraverso le fratture lungo la dorsale. Si tratta di un vero e proprio ecosistema ancora poco conosciuto che regola gli scambi geochimici tra la geosfera e l’idrosfera. E’ qui che si pensa sia possibile studiare la vita così come è comparsa all’inizio della storia della Terra.
Le rocce del mantello che hanno subito processi di idratazione sono infatti considerate tra i candidati più probabili ad aver ospitato le prime forme di vita perché sono associate a processi biogeochimici che sostengono la crescita microbica.
Più riusciamo a guardare nell’universo micro-nano-scopico che ci circonda, ma che rimane ancora largamente inesplorato, più troviamo traccia di sempre più profonde connessioni tra le componenti biotiche e abiotiche degli ecosistemi terrestri.
[Immagine: credit Moro et al.]
