Da anni ho deciso di non partecipare più a dibattiti sul nucleare, che diventano immancabilmente una sterile contrapposizione fra tifoserie. Potrei scrivere dieci editoriali sui motivi economici, tecnici ed etici per cui il nucleare è finito su un binario morto. Ma lasciamo perdere gli argomenti pro e contro, e andiamo al punto: perché il dibattito sul nucleare in Italia è totalmente inutile?
Qualche dato sulla sostenibilità del nucleare
Un reattore nucleare non si accende e spegne come un phon. Per questo motivo si presta a coprire il carico di base (baseload) di un sistema elettrico, cioè la domanda di potenza sotto la quale non si scende mai. Il baseload italiano è circa 25 GW, quindi occorrerebbe installare almeno 20 GW di centrali a fissione. Accontentiamoci della metà: 10 GW, cioè dieci centrali nucleari standard da 1 GW. Occorrerebbe localizzare dieci siti idonei, in un Paese a elevato rischio sismico e in dissesto idrogeologico, dove da anni non si riesce a localizzare un solo sito per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari. Ammettiamo pure di individuare questi dieci siti in un tripudio popolare, in rigorosa ottemperanza a un punto cardine della transizione ecologica in corso: la sostenibilità sociale. A questo punto dovremmo trovare aziende disposte a investire almeno 100 miliardi di euro (una centrale da un 1 GW costa almeno 10 miliardi). Non so voi, ma io già mi vedo la fila dei volonterosi con 100 miliardi da investire sul nucleare in Italia.
Passiamo oltre: quanto tempo occorrerebbe? In uno slancio di ottimismo supponiamo di metterci dieci anni. Nonostante si tratti di un’ipotesi totalmente irrealistica, sarebbe comunque troppo, perché fra dieci anni dovremo già aver decarbonizzato, anno dopo anno, il sistema elettrico, secondo gli obiettivi UE. In conclusione, persino nelle ipotesi più minimali e irrealistiche (10 GW, 100 miliardi, 10 anni) parlare di nucleare equivale a parlare di nulla. Figuriamoci in quelle realistiche.
Il nucleare nel mondo
Se allarghiamo lo sguardo al mondo intero, la situazione non migliora. Affinché il nucleare possa giocare un ruolo rilevante nella produzione elettrica mondiale, bisognerebbe costruire almeno 3000 centrali da 1000 MW, cioè due alla settimana da qui al 2050, cominciando domattina. Negli anni d’oro (1960-1980) si è arrivati al massimo a costruirne occasionalmente trenta all’anno. E comunque, a questi ipotetici ritmi, non avremmo uranio a sufficienza. Ovvero lo avremmo solo nella mente di chi vagheggia da decenni l’estrazione di uranio dall’acqua di mare, ma temo non abbia mai fatto due conti sulle ciclopiche quantità di acqua che si dovrebbero processare.
So che a questo punto sorge l’obiezione: non si faranno centrali da 1 GW, ma piccole centrali da 0,3 GW di nuova generazione e ultrasicure! Di nuovo, stiamo parlando del nulla. Innanzitutto queste centrali “piccole” sono utilizzate da decenni nel settore militare e non hanno niente di nuovo. L’uso di design e combustibili alternativi per la produzione elettrica civile è ancora un tema da “libro dei sogni” tecnico e autorizzatorio, cioè l’ennesimo argomento impalpabile.
Verso una transizione energetica “concreta”
In conclusione, il nucleare può essere un divertente argomento di discussione tra amici, nei forum o al bar. Ma è e resterà sempre un argomento totalmente irrilevante per le prospettive concrete di transizione energetica da qui al 2050. È per questo che ho deciso, da anni, di lasciar perdere.
Davvero non mi capacito del fatto che si debbano inseguire idee irrealizzabili quando le soluzioni per decarbonizzare il sistema elettrico non solo esistono già, ma sono veloci da installare, sicure, affidabili ed economicamente imbattibili.
Se siete abbonati a Sapere, è inutile che vi ripeta di cosa si tratta. Non so che dire: convincete altri a farlo. Anche nei Ministeri.
Intanto, godetevi questo numero speciale sull’astrofisica curato da Patrizia Caraveo, magari pensando che le stelle sono un bellissimo esempio di fusione termonucleare, anche se per noi inarrivabile.