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05 Feb 2025

Satelliti e assenza di gravità

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Esistono radicati pregiudizi circa le forze agenti su un oggetto in volo. Se ciò è perdonabile nel caso dei satelliti artificiali, che dire di quanti ritengono che un giavellotto proceda nel suo moto, dopo il lancio, fintanto che non si è esaurita la forza di spinta impressagli dall’atleta?

 

Un quiz sui satelliti in volo

Cominciamo con la suggestiva frase di Italo Calvino: «Il problema di sottrarsi alla forza di gravità stimola la fantasia». In un quiz proposto anni fa a studenti al primo anno di Fisica alla Sapienza si chiedeva: per quale motivo, se il raggio dell’orbita è abbastanza grande, un satellite artificiale può ruotare attorno alla Terra per lungo tempo? Come risposta, da motivare, venivano offerte queste alternative:

1) occorre il vuoto per evitare la forza di gravità

2) la forza frenante dell’atmosfera è piccola

3) la forza di gravità decresce con l’altezza

4) altre cause

Per quanto possa apparire incredibile, l’esito del quiz è che soltanto 1 studente su 6 diede la risposta corretta, ossia la 2: occorre che l’atmosfera sia sufficientemente rarefatta da rendere trascurabile la resistenza dell’aria, altrimenti il satellite perde energia e precipita al suolo. Molti degli studenti optarono per la 3, ossia ritengono necessario salire in alto per ridurre il peso del satellite. Altri scelsero la 4, affermando che il satellite, per stare in orbita, deve uscire dal campo gravitazionale terrestre. Il qui pro quo ha un’evidente origine nella nozione che, all’interno dei satelliti, gli astronauti operano in apparente assenza di gravità.

Analizziamo questi errori. È vero che il peso cala con l’altitudine, ma a poche centinaia di km di altezza il peso varia solo di qualche percentuale, visto che il raggio terrestre è di quasi 6400 km. Quanto a liberarsi dell’attrazione terrestre, come potrebbe allora la Luna esserne soggetta visto che la distanza in gioco è ben maggiore? Se non lo fosse il satellite, non trattenuto da una forza diretta verso il centro dell’orbita, forza centripeta, se ne andrebbe per la tangente, proprio come fa, in atletica, l’attrezzo del lanciatore di martello nel momento in cui questi lascia la presa.

 

La traiettoria dei satelliti artificiali

Lo stesso vale per un satellite artificiale. Per collocarlo in orbita si lancia un missile su una traiettoria incurvata in modo tale da portarlo a viaggiare, quando il satellite si sgancia dal vettore, su un’orbita circolare. Dal punto di vista degli astronauti, ossia nel riferimento del satellite, l’orbita è il luogo dei punti dove la forza gravitazionale (centripeta) è bilanciata dalla forza centrifuga, ossia quella forza che spinge un corpo verso l’esterno quando esso percorre una traiettoria incurvata. Gli astronauti non avvertono né il loro peso, né l’effetto centrifugo, perché le due forze si equilibrano. Tale condizione si mantiene nel tempo se non sono presenti forze frenanti originate da attriti o collisioni.

Quando la velocità impressa al satellite è insufficiente, la forza gravitazionale domina ed esso ricade sulla Terra. Se la velocità è eccessiva, invece, il satellite sfugge al campo gravitazionale terrestre allontanandosi nello spazio. La velocità di fuga, ossia la velocità minima per cui ciò si verifica, si raggiunge quando l’energia cinetica del satellite supera quella gravitazionale che lo tiene legato al pianeta: essa è attorno ai 40 000 km/h.

Nel sistema di riferimento del satellite gli astronauti si ritengono fermi e non soggetti a forze. Giudicato da terra, tuttavia, il loro moto non può dirsi uniforme, giacché il moto circolare è un moto accelerato, poiché presenta un continuo cambiamento di direzione della velocità.

Nel caso di un moto rettilineo, esso si presenta uniforme ogni qual volta la risultante delle forze agenti sul corpo in movimento è nulla (principio d’inerzia di Galileo). Tale moto viene giudicato uniforme da qualsiasi osservatore, sia esso fermo o a sua volta in moto con velocità costante rispetto al corpo in esame (principio di relatività di Galileo). È il caso ad esempio di un veicolo che proceda a velocità costante: la forza trainante è controbilanciata da quella degli attriti dovuti all’aria e al suolo. Poiché la forza d’attrito cresce con la velocità, se la forza trainante aumenta, la nuova condizione di bilanciamento delle forze si raggiunge a velocità più elevata. Due cavalli, in altre parole, sono in grado di far correre la carrozza più velocemente che uno solo.

 

 

 

Concludendo, affinché si abbia moto non occorre la presenza di forze. Anzi, il moto rettilineo a velocità costante richiede che la forza complessiva sia nulla. Altrimenti, in ossequio alla legge di Newton il corpo accelera (o decelera). Tutto appare alquanto ovvio, eppure sono in molti a ragionare diversamente. Pregiudizi millenari che risalgono ai tempi di Aristotele, il quale non credeva alla possibilità di moto senza una forza di spinta: «Se una certa forza muove un certo corpo con una certa velocità – diceva, ignorando il ruolo dell’attrito – occorrerà una forza doppia per muoverlo con velocità doppia». Ma come farebbe un proietto, una volta in volo, a rimanere assoggettato a una forza di spinta? Secondo Aristotele, l’aria, proiettata in avanti al momento del lancio, tende a rioccupare il vuoto che si forma dietro il proietto, e quindi a sospingerlo ulteriormente. Oggi sappiamo che il vuoto o risucchio che si crea dietro a un corpo in movimento ha, semmai, l’effetto contrario, cioè di frenarlo.

Benché bastino le semplici considerazioni qui proposte per far cadere ogni errata concezione, c’è voluto un Galileo per mettere le cose in chiaro. Spesso sono proprio i ragionamenti semplici a farci difetto. Non si spiegherebbe altrimenti come oggi, nell’èra dei voli spaziali, continuino a imperversare gli astrologi, gli ufologi, i guaritori, il paranormale e le superstizioni.

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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