Utilizzare gli scarti agricoli e forestali, vapore e luce solare per produrre biodiesel. Un team internazionale di ricercatori tra cui figurano gli italiani dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del CNR, ha trovato il modo di farlo e i risultati ottenuti sono stati pubblicati su Nature Energy.
Utilizzare gli scarti agricoli e forestali, vapore e luce solare per produrre biodiesel. Un team internazionale di ricercatori tra cui figurano gli italiani dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del CNR, ha trovato il modo di farlo e i risultati ottenuti sono stati pubblicati su Nature Energy.
Come si producono i biocarburanti?
I biocarburanti sono ricavati da biomasse che , in questo contesto, possono essere definite come materiale organico, di origine vegetale o animale, utilizzato per generare energia. A differenza dei combustibili tradizionali, che sono combustibili fossili e le cui scorte sul nostro pianeta prima o poi finiranno, i biocombustibili si basano su fonti energetiche rinnovabili. Di questa categoria di sostanze esistono diverse tipologie, tra cui il bioetanolo, che è il risultato della fermentazione di carboidrati quali zucchero e melassa; il biogas, prodotto dalle reazioni chimiche che avvengono naturalmente in risaie e paludi oppure dalla fermentazione anaerobica (senza ossigeno) delle sostanze organiche nei trattamenti delle acque reflue; i biodiesel, composti da miscele di esteri metilici ottenuti per transesterificazione dei trigliceridi di olî vegetali quali quelli di colza, di soia e di girasole, con metanolo.
Biocarburanti in Italia
In Italia si produce biodiesel a partire dagli oli di colza e girasole e viene venduto soprattutto per l’utilizzo nel settore del riscaldamento o come combustibile da autotrazione nelle aziende di trasporto. Secondo i dati raccolti dal Gestore Servizi Energetici, nel 2017 sono stati consumati in Italia poco più di 1,2 milioni di tonnellate di biocarburanti, quasi esclusivamente sostenibili (99,9%). Poco meno del 97% dei volumi dichiarati è costituito da biodiesel. Dal 2005 al 2017 c’è stato un decisivo aumento del consumo di biocombustibili nel nostro paese: l’incremento è stato del 589%. Inoltre, nel 2016, l’incidenza dei biocarburanti sul consumo complessivo di benzine e gasolio in Italia è stata pari al 3,5%.
Il biodiesel presenta certamente vantaggi rispetto alla sua alternativa tradizionale: vi è una riduzione delle emissioni di monossido di carbonio, anidride carbonica, di idrocarburi aromatici ad anelli condensati e di polveri sottili e l’assenza di emissioni di diossido di zolfo. Esiste, però, anche il rovescio della medaglia. Questo biocombustibile emette maggiori quantità di ossidi di azoto rispetto al gasolio e le materie prime da cui è ricavato sono legate a uno sfruttamento del terreno coltivabile che influenza negativamente i prezzi delle materie prime stesse, compromettono la salute del suolo e portano alla diminuzione della produzione di cibo a favore di quella di combustibili. Sostituire le materie prime coltivabili con scarti ridurrebbe gli svantaggi del biodiesel.
Biodiesel da residui agricoli e forestali
La ricerca pubblicata su Nature Energy è il frutto di una collaborazione tra scienziati provenienti dall’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ICCOM), dal Dalian Institute of Chemical Physics – Accademia Cinese delle Scienze, dall’Università di Trieste, dal Consorzio interuniversitario nazionale per la scienza e la tecnologia dei materiali (INSTM), dal Sincrotrone francese Soleil e dalla tedesca Forschungszentrum Juelich GmbH. Lo studio dimostra che si possono impiegare materiali fotocatalitici, ossia capaci di usare l’energia solare per trasformare biomasse lignocellulosiche – derivate da residui agricoli e forestali – per produrre carburanti utilizzabili dagli aereomobili. Questo sarebbe un grande passo avanti per i trasporti aerei in termini di sostenibilità. Paolo Fornasiero dell’ICCOM, coautore dell’articolo, ha spiegato come ottenere questo combustibile ecologico: “Si tratta di un processo a più stadi: in un primo passaggio si scindono le molecole di partenza nelle loro componenti più piccole. Ciò può avvenire attraverso un processo di ‘steam explosion’, cioè utilizzando del vapore caldissimo che spacca le molecole, producendo un liquido che può subire successivi trattamenti. Nel secondo passaggio, quello chiave, viene aggiunto un fotocatalizzatore, cioè un materiale capace di reagire con la luce solare. A questo punto la luce instaura una reazione chimica che dà come prodotto idrogeno e altre molecole. Queste ultime sono dei precursori del diesel, cioè composti che gli assomigliano molto. Il terzo passaggio consiste nel trasformare questi composti in diesel vero e proprio. Noi ci siamo occupati prevalentemente di studiare il passaggio intermedio e, in particolare, di comprendere la struttura dei fotocatalizzatori impiegati”. Feng Wang, coautore dell’Accademia Cinese delle Scienze ha aggiunto: “Questo carburante inquina meno perché non utilizza carbonio fossile ma quello riciclabile ottenuto dalle biomasse, prodotti di scarto che costituiscono la più grande fonte di carbonio in natura (circa 120 miliardi di tonnellate di materia secca per anno)”.
Viaggiare senza inquinare. Oltre ai biocombustibili ci sono altre soluzioni: un esempio è l’idrogeno. Per saperne di più acquistate e leggete l’articolo “Le alternative per la mobilità sostenibile: il caso dell’idrogeno” di Lorenzo Battisti e Luciano Celi, pubblicato nel numero di febbraio 2018 di Sapere.
Credits immagini: foto di David Roumanet da Pixabay