L’esposizione nella fotografia digitale segue gli stessi principi dell’analogica.
Una volta caricata nella macchina la pellicola della sensibilità preferita, oppure scelto il valore di ISO a cui lavorare con la fotocamera digitale, abbiamo solo due parametri su cui intervenire per regolare l’esposizione: tempo di esposizione e diaframma.
Supponiamo che per lo scatto che vogliamo fare vada bene la coppia tempo-diaframma 1/125 – f/8.
Non siamo vincolati solo a questa coppia perché possiamo scegliere un tempo più rapido di uno stop, cioè 1/250 e il diaframma più aperto di uno stop, f/5.6.
Il tempo più rapido di uno stop dimezza la luce che colpisce il sensore. Di conseguenza la fotografia verrebbe sottoesposta di uno stop, ma il diaframma più aperto di uno stop compensa la variazione.
Seguendo questo principio possiamo selezionare diverse coppie tempo-diaframma che non modificano l’esposizione, come riportato nella tabella.
Ma cosa ci porta a scegliere una coppia piuttosto che un’altra?
Sostanzialmente due principi che vado a spiegare:
– il tempo di otturazione
La velocità di scatto influisce sul “mosso”. Probabilmente con un tempo di 1/60 s riusciremo a fotografare delle persone che camminano, senza che appaiano mosse, ma di sicuro non dei ragazzi che corrono.
– il diaframma
Il diaframma, invece, influisce sulla profondità di campo (p.d.c.). Mi spiego meglio con un esempio.
A partire dal piano del sensore (sulle fotocamere c’è il simbolo che indica la posizione del sensore), regoliamo la messa a fuoco su un piano posto a una certa distanza. Non verrà a fuoco solo ciò che si trova su quel piano, ma tutto ciò che si trova da una esatta distanza inferiore, che chiameremo limite prossimo, fino a un’altra distanza maggiore che chiameremo limite lontano. Questo intervallo è detto profondità di campo.
La profondità di campo dipende a sua volta da quattro fattori:
1 – Distanza di messa a fuoco
2 – Lunghezza focale dell’obiettivo
3 – Dimensioni del sensore
4 – Apertura del diaframma
A parità di distanza di messa a fuoco, la profondità di campo è inversamente proporzionale alla lunghezza focale dell’obiettivo e all’apertura del diaframma. È, invece, direttamente proporzionale alle dimensioni del sensore.
Al momento dello scatto, possiamo regolare la profondità di campo solo mediante l’apertura del diaframma: più lo chiudiamo, maggiore sarà la p.d.c.
I due scatti qui sopra sono stati eseguiti consecutivamente con il fuoco sul doppio tre, cambiando la coppia tempo-diaframma. Il doppio tre era alla distanza di 70 cm dal sensore della fotocamera, il doppio uno a 64, il doppio sei a 78.
È evidente che a f/2 è perfettamente a fuoco solo il doppio tre, mentre a f/16, grazie alla maggiore profondità di campo, tutte le tessere risultano a fuoco.
Cos’è la distanza iperfocale?
In base alla lunghezza focale dell’obiettivo e all’apertura del diaframma, c’è una distanza ben precisa, sempre a partire dal piano del sensore, chiamata iperfocale. Mettendo a fuoco a quella distanza, sarà a fuoco tutto ciò che si trova da un limite vicino di iperfocale fino a infinito.
Ad esempio, immaginiamo di avere una fotocamera con sensore 24 x 36 mm, obiettivo 200 mm, diaframma f/4: il punto di iperfocale è a 334 m, il limite vicino di iperfocale è a 166 m. Mettendo a fuoco alla distanza di 334 m sarà a fuoco tutto ciò che si trova da 166 m fino a infinito.
La profondità di campo segue delle regole matematiche che dipendono dai quattro fattori elencati. Per la gestione della profondità di campo e dell’iperfocale esistono delle comodissime applicazioni, generalmente gratuite, da installare negli smartphone, dette Depth Of Field Calculator, che possono essere di grande aiuto.
