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19 Nov 2021

Porpora: il colore del potere

Giorgio Rizzo

Giorgio Rizzo
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Oggi, grazie alla chimica sintetica, disponiamo praticamente di ogni sfumatura di colore, dalle tonalità più accese a quelle più leggere. Ma non è sempre stato così. Il primo grande chimico è, da sempre, la Natura, e l’uomo sa bene l’inesauribile fonte di sostanze che essa può regalare.
Il colore porpora, per la sua rarità e difficoltà di estrazione, si è posto fin dal principio come un pigmento degno solo delle personalità più importanti, quali imperatori, re e papi.

 

Le origini di Tiro: una leggenda tutta porpora

Nonostante ci fosse una fiorente industria tessile in tutto il bacino del Mediterraneo, i primi a scoprire il raro pigmento furono, intorno al II millennio a.C., i Fenici, un antico popolo di mercanti che occupavano le terre oggi annesse al Libano, e più precisamente la cittadina di Tiro.
Secondo una leggenda, il dio fenicio Melqart si innamorò perdutamente della ninfa marina greca Tiro e volle suggellare il suo amore con un prezioso dono. Un giorno passeggiava sulle coste e il suo segugio, dopo essersi allontanato per aver fiutato qualcosa, tornò dal padrone con il muso sporco di ciò che, apparentemente, sembrava sangue vivo. Il dio, preoccupato, si chinò sull’animale che in realtà non riportava nessuna ferita. Piuttosto, tra le fauci recava un mollusco che, schiacciato dal morso, produceva questo liquido colorato. La ninfa Tiro, ammaliata da una tinta così unica e accesa, chiese allo spasimante di farle dono di una stoffa dello stesso colore. Melqart quindi fondò in quelle coste la città fenicia Tiro, in onore della sua amata sposa.

 

Un’estrazione… nauseabonda!

Il mollusco in esame appartiene alla famiglia Muricidae e possiede una ghiandola ipobranchiale contenente i precursori del porpora.
La sua preparazione in origine era un processo molto tedioso e, soprattutto, fetido. Una volta raccolti i murici, questi venivano privati della ghiandola che veniva lasciata macerare in acqua di mare per tre giorni. Dunque si procedeva alla bollitura nel calderone per almeno dieci giorni, al termine dei quali si immergeva la stoffa da tingere, lasciandola ad assorbire la sostanza per parecchie ore. Il processo di bollitura provoca l’esalazione di composti solforati quali metantiolo, dimetil solfuro e il famigerato dimetil trisolfuro, generando così un fetore simile al tanfo di un cadavere misto a quello di aglio marcio. Numerosi storiografi greci raccontano che era praticamente impossibile resistere a questa nube nauseabonda, tanto che i centri di produzione del porpora venivano relegati in zone molto distanti dai centri abitati.

 

Quando la porpora si trovò al centro di una storica disputa

Le cose procedettero alla stessa maniera per i successivi tre millenni, fin quando gli Arabi, avendo conquistato Tiro, spostarono le industrie tintorie a Costantinopoli nel 1202, dove il colore venne associato alle alte cariche della Chiesa Cristiana.
Intanto, il sultano Maometto II aveva convertito la chiesa di Santa Sofia in moschea nel 1453, provocando la disapprovazione del papa che, da Roma, tentò di lanciare una crociata per riprendere possesso di  Costantinopoli. Fallita l’impresa, il papa decise allora di bloccare ogni commercio della porpora, sostituendola con il carminio, un altro pigmento naturale estratto dalle cocciniglie europee, decretando il colore cremisi come la tinta sacra degna di un papa.

 

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La chimica della porpora

Il primo studio sulla composizione della porpora di Tiro risale al 1879 ad opera del chimico Henry Edward Schunck che estrasse le ghiandole di 400 molluschi mettendole in etanolo, per poi esporre la soluzione ai raggi del sole. Questa, inizialmente gialla, virò velocemente al verde, al blu e infine al violetto scuro. Lasciò sedimentare il pigmento, ottenendo l’esigua quantità di 7 milligrammi.
Sarà soltanto nel 1908, per mano, assai paziente, di Paul Friedländer, che vennero estratte le ghiandole di 12 000 murici a Trieste, ottenendo stavolta 1,4 grammi di prodotto cristallino. Le analisi rivelarono che la porpora è costituita principalmente da 6,6’-dibromoindigo, il primo prodotto naturale noto che conteneneva il bromo, creando non poco scalpore all’epoca.
Successivi studi riveralono la presenza minoritaria anche di 6-bromoindigo, 6,6’-dibromoindirubina e, nella specie Murex trunculus, anche l’indigo, un pigmento chimicamente simile alla porpora, ma di origine vegetale e dalla spiccata tonalità blu notte. Il precursone biochimico del porpora è il tirindossil solfato che, per azione enzimatica in presenza dell’ossigeno, genera l’intermedio tiriverdina. Questa, sotto esposizione ai raggi del sole, converte nel 6,6’-dibromoindigo, liberando i prodotti sulfurei che abbiamo prima citato.

 

Immagine di copertina: copyright Sebastiano Casarrubia

Giorgio Rizzo
Giorgio Rizzo
Giorgio, laureatosi in Chimica con specializzazione magistrale in Chimica dei Sistemi Molecolari, oggi frequenta la scuola di Dottorato in Scienze Chimiche e Molecolari presso l’Università di Bari.
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