La nostra presenza nel mondo digitale è costante e costante è il flusso di dati che inviamo attraverso la rete. Per scaricare app, per iscriverci a eventi o servizi, per pagare un oggetto o una bolletta, inseriamo negli appositi form informazioni su di noi, quelle stesse informazioni che poi possono diventare parte di enormi database ed essere strumenti per differenti scopi, dalle statistiche mediche all'invio di pubblicità personalizzata. Per proteggere la nostra privacy quei dataset sono sottoposti a un processo di anonimizzazione, eliminando i dati sensibili. È sufficiente far questo per garantire che la nostra identità non venga rintracciata? Secondo un recente studio, pubblicato su Nature Communications, sembra proprio di no.
Quanto è influenzato il nostro cervello dalle nuove tecnologie?
Spesso ci si divide in schieramenti quando si parla delle nuove tecnologie di cui ci circondiamo, così invasive e onnipresenti, e di discuterne l'utilità o, al contrario, l'influenza negativa che potrebbero esercitare sulle nostre capacità cognitive. Esistono prove che dimostrano che l'uso di smartphone, tablet, PC, il continuo passare da un social e l'altro, l'ipnotico perdersi nell'ultimo videogioco, ci stia realmente cambiando?