Il DNA, l’acido desossiribonucleico, meglio conosciuto come il libretto d’istruzioni per la creazione della vita sul nostro pianeta, è da sempre riuscito a conservare le sue preziose informazioni grazie alla combinazione di sole quattro lettere: G,C, A e T, le iniziali delle quattro basi azotate che lo compongono ossia guanina, citosina, adenina e timina. In uno studio pubblicato su Science, i ricercatori della Foundation for Applied Molecular Evolution e dell’azienda Firebird Biomolecular Science hanno dimostrato che è possibile espandere il linguaggio genetico con altri quattro elementi. È stato ottenuto così il primo hachimoji DNA, un DNA di otto lettere.
Il DNA, l’acido desossiribonucleico, meglio conosciuto come il libretto d’istruzioni per la creazione della vita sul nostro pianeta, è da sempre riuscito a conservare le sue preziose informazioni grazie alla combinazione di sole quattro lettere: G,C, A e T, le iniziali delle quattro basi azotate che lo compongono ossia guanina, citosina, adenina e timina. In uno studio pubblicato su Science, i ricercatori della Foundation for Applied Molecular Evolution e dell’azienda Firebird Biomolecular Science hanno dimostrato che è possibile espandere il linguaggio genetico con altri quattro elementi. È stato ottenuto così il primo hachimoji DNA, un DNA di otto lettere.
Cos’è il DNA?
Come abbiamo già accennato, il DNA è il manuale di istruzioni che descrive come costruire la vita sulla Terra. Partendo dai microrganismi, passando per il mondo vegetale e quello animale, fino a giungere a noi esseri umani, l’acido desossiribonucleico è in grado di definire qualsiasi forma di vita. Il set completo di istruzioni codificato nel DNA di un organismo si chiama genoma, un patrimonio che viene trasmesso dai genitori ai figli attraverso la riproduzione. Le informazioni sono conservate nel DNA utilizzando solo 4 tipi di molecole che si presentano in coppie, adenina-timina e guanina-citosina. Esistono miliardi di queste paia, organizzate nella celebre struttura a doppia elica, compatta e resistente. Perché questa molecola è così importante? Il DNA può essere diviso in sezioni, i geni, che contengono informazioni tra cui le indicazioni per produrre proteine, essenziali per la vita in quanto compiono un grande numero di differenti attività, dal controllo delle funzioni di una singola cellula al determinare la forma di un intero organismo. A questo punto diventa chiaro quanto sia difficile progettare un modo per modificare, aggiungendo ulteriori paia di basi azotate, l’informazione genetica e quanto potrebbe essere utile padroneggiare una tecnologia di questo tipo.
Espandere l’alfabeto della vita
Quello descritto nell’articolo di Science non è stato il primo tentativo di costruire un DNA con un numero maggiore di basi azotate rispetto a quelle presenti in natura. Già nel 1980 ci sono stati i primi tentativi di aggiungere basi artificiali e nel 2014 ne fu inserita una coppia in una cellula vivente. Qual è la differenza tra i precedenti studi e quello appena pubblicato? Quest’ultimo è stato il primo in cui è stato dimostrato sistematicamente che le paia di basi azotate non naturali erano in grado di riconoscersi e legarsi l’una all’altra e la doppia elica formatasi conseguentemente è riuscita a mantenere la propria struttura.
Come sono state progettate queste nuove molecole? Le lettere sintetiche sono state costruite modificando leggermente la struttura molecolare delle basi regolari. Le “normali” lettere del DNA si accoppiano perché formano legami idrogeno: ciascuna contiene atomi di idrogeno che sono attratti dall’azoto o dall’ossigeno presenti nel loro corrispettivo. Un incastro simile a quello dei puzzle o dei Lego che, opportunamente modificato, ha portato a numerose paia di basi, tra cui S e B e P e Z, quelle che gli scienziati sono riusciti a impiegare con successo insieme alle basi naturali, ottenendo un hachimoji DNA, dal giapponese hachi (otto) e moji (lettere), un DNA con otto lettere.
Struttura stabile e trascrizione in RNA
Per non essere solo un artefatto da laboratorio, il nuovo DNA deve possedere delle caratteristiche precise, delle proprietà essenziali per supportare la vita. Prima di tutto, per conservare le informazioni come fa il DNA naturale, deve seguire delle regole precise e prevedibili ossia le basi azotate sintetiche devono formare paia in maniera affidabile. Per dimostrarlo, gli studiosi hanno prodotto centinaia di molecole di DNA sintetico e trovato che le lettere si legano al loro partner in maniera prevedibile. Un altro attributo imprescindibile è la stabilità della struttura che si è mostrata resistente per qualsiasi disposizione ordinata di paia di basi. Ciò è fondamentale in quanto per far sì che le forme di vita evolvano, le sequenze di DNA devono poter variare senza che l’intera struttura vada in pezzi. In seguito è stato il turno di testare la trascrizione in RNA. Durante il processo chiamato trascrizione, le informazioni contenute nel DNA vengono trascritte in una molecola complementare di RNA. Nel caso in cui un segmento di DNA codifichi per una proteina, la trascrizione è la prima parte di un cammino che porterà alla sintesi di peptidi (catene di amminoacidi che costituiscono unità per la formazione di proteine). Gli autori dello studio hanno confermato che il DNA a otto lettere è in grado di procedere con la trascrizione in RNA e che quest’ultima funziona correttamente.
Un ultimo dubbio da chiarire riguarda la possibilità del nuovo DNA di essere replicato dalle polimerasi, enzimi responsabili della sintesi dell’acido desossiribonucleico negli organismi, durante la divisione cellulare.
Alla ricerca di vita aliena e di nuove applicazioni mediche
Steven Benner, fondatore della Foundation for Applied Molecular Evolution di Alachua (Florida) e autore principale dello studio, ha affermato in un’intervista comparsa nelle News di Nature che questo lavoro mostra che la vita potrebbe essere basata su DNA con una differente struttura da quella che conosciamo. Tale riflessione risulta di un certo peso se pensiamo alla ricerca di indizi di vita aliena in altre aree del nostro Universo, dove le condizioni per lo sviluppo di organismi potrebbero essere state del tutto diverse da quelle terrestri. Inoltre gli studiosi desiderano applicare i risultati ottenuti superando il concetto di immagazzinamento dei dati: il gruppo di ricerca di Benner ha infatti dimostrato che filamenti di DNA con basi Z e P riescono a legarsi a cellule cancerose meglio di quelli standard. Il DNA sintetico potrebbe, quindi, essere impiegato nella diagnostica medica o per produrre nuove proteine. Un ventaglio infinito di possibilità future anche solo immaginando di proseguire e costruire strutture genetiche che possano contenere anche più di otto lettere.
L’hachimoji DNA è un risultato stupefacente nell’ambito della genetica ma cos’altro ci aspetta nel futuro? In quali direzioni andrà il progresso tecnologico? Se desiderate approfondire questo tema, vi consigliamo di acquistare e leggere l’articolo “Dove va la scienza?” di Gianfranco Pacchioni, pubblicato nel numero di agosto 2018 di Sapere.