Ata, come è stato ribattezzato, è un essere dalle sembianze aliene scoperto nel 2003, in Sud America. L’aspetto, le circostanze e il luogo del ritrovamento costituivano il mix perfetto per imbastire l’ennesima teoria sull’esistenza degli extraterrestri e del loro arrivo sul nostro pianeta. Il lavoro degli scienziati della University of California di San Francisco e della Stanford University ha finalmente messo un punto alla costruzione di narrazioni fantasiose, svelando la vera identità di questa creatura.
Ata, come è stato ribattezzato, è un essere dalle sembianze aliene scoperto nel 2003, in Sud America. L’aspetto, le circostanze e il luogo del ritrovamento costituivano il mix perfetto per imbastire l’ennesima teoria sull’esistenza degli extraterrestri e del loro arrivo sul nostro pianeta. Il lavoro degli scienziati della University of California di San Francisco e della Stanford University ha finalmente messo un punto alla costruzione di narrazioni fantasiose, svelando la vera identità di questa creatura.
Il ritrovamento
Questa è la storia di Ata, ritrovato nel deserto di Atacama, in Cile, 15 anni fa. Protetto da un telo bianco legato con un nastro viola, questo essere minuto, per sua sfortuna, doveva essere sembrato immediatamente la prova di qualcosa di straordinario agli occhi di chi lo aveva ritrovato. Questa piccola creatura era alta meno di quindici centimetri, aveva solo dieci paia di costole, le orbite oculari oblique e uno strano cranio allungato. Che fossero resti di un extraterrestre o semplicemente un oggetto da esporre come mirabilia di un’anacronistica wunderkammer, il suo destino era segnato e, dopo una breve transizione nel mercato nero dei reperti archeologici, era giunto in una collezione privata, in Spagna. Probabilmente sarebbe rimasto lì, se non avessero deciso di farne il protagonista di uno strampalato documentario complottista, ben dieci anni dopo il suo ritrovamento.
La curiosità del professor Nolan
Nel 2012, Garry P. Nolan, un microbiologo e immunologo della Stanford University, venne a sapere del lungometraggio sulle forme di vita extraterrestre ancora in fase di produzione e, quindi, dell’esistenza di Ata. Ecco che la fantascienza cominciò a divenire finalmente scienza: Nolan contattò la produzione e propose di analizzare la piccola mummia. Il suo proprietario acconsentì e venne, quindi, sottoposta a radiografie e al campionamento del midollo di costole e omero destro per l’analisi del DNA. Il primo risultato fu che Ata non era un extraterrestre ma possedeva DNA umano.
Umano, troppo umano
Le tecnologie a disposizione in quegli anni non permisero di dire molto di più su quei particolari resti. Questo fino a oggi. L’articolo pubblicato su Genome Research ha chiarito, grazie a una completa e dettagliata analisi genomica, tutti i punti oscuri legati alla storia di Ata, che non è un alieno ma un feto di sesso femminile o neonata affetta da un insieme di gravi malformazioni. La mummia ha il DNA di un umano moderno con probabili origini cilene. L’aspetto e le caratteristiche del suo scheletro (le ossa mostrano invecchiamento precoce) possono essere spiegate dalla presenza di rare mutazioni genetiche – alcune già conosciute dai medici, altre appena scoperte – legate al nanismo e ai disturbi dell’ossificazione. Gli studiosi sono riusciti a tentare anche una datazione del feto: parte del suo corredo genetico è europeo quindi dovrebbe essere nata dopo la colonizzazione del Cinquecento e altre indicazioni, quali lo stato di conservazione dello scheletro, potrebbero far risalire questo piccolo corpo a circa 40 anni fa.
Nuove strade da percorrere in ambito medico
La morte e il poco rispetto inizialmente mostrato per le spoglie di quella che, in realtà, era una bimba non sono stati vani: attraverso lo studio del suo DNA si stanno prospettando nuovi orizzonti nella genetica clinica e nell’approccio diagnostico. Questa ricerca sottolinea come una malattia sia spesso il frutto della mutazione di più geni che producono una determinata condizione. Gli scienziati stanno quindi pianificando nuovi modi di esaminare alcune patologie: invece di iniziare con una descrizione dello stato del paziente e, conseguentemente, cercare il gene mutato che la spiega, si potrebbe dapprima osservare il materiale genetico per capire in cosa differisce rispetto a quello di un set di campioni di riferimento “sani”. Le variazioni genetiche ricavate dal confronto potrebbero quindi rivelare quali processi connessi allo sviluppo della malattia siano in atto nel paziente.
Quale sarà la fine di Ata, ora che tutti conosciamo la sua vera identità? Gli scienziati sperano che possa far ritorno nel suo paese di origine ed essere sepolta secondo i costumi del suo popolo.