Secondo due nuovi studi pubblicati sul British Medical Journal, l’inquinamento atmosferico è legato a un maggior rischio di ictus e di ansia.
Secondo due nuovi studi pubblicati sul British Medical Journal, l’inquinamento atmosferico è legato a un maggior rischio di ictus e di ansia. L’ictus è la causa principale di morte nel mondo ed è responsabile della morte di circa 5 milioni di persone ogni anno. Fattori di rischio comune includono obesità, fumo e pressione alta, ma si sa poco dell’effetto di fattori ambientali, come, per esempio, l’inquinameno atmosferico.
Il rischio ictus
Ora, un nuovo studio dell’Università di Edinburgo, che ha passato in rassegna 103 studi osservazionali da 28 paesi in tutto il mondo, ha evidenziato un’associazione tra alcuni inquinanti atmosferici e l’aumento del rischio di ictus. In particolare, il monossido di carbonio aumenta il rischio dell’1,5 per cento per ogni ppm (parte per milione) di concentrazione, il biossido di zolfo dell’1,9 per cento per ogni parte per miliardo, e il biossido di azoto dell’1,4 per cento per parti per miliardo. Inoltre, sia le polveri PM 2.5 che PM 10 sono associate a ricoveri ospedalieri o morte dovuta a ictus, rispettivamente aumentando il rischio dell’1,1 per cento e 0,3 per cento per ogni 10 microgrammi per metro cubo di concentrazione. Precedenti ricerche avevano suggerito che l’inquinamento atmosferico può incidere sulle cellule che rivestono i vasi sanguigni, aumentando l’attività del sistema nervoso simpatetico e portando a un restringimento degli stessi vasi.
L’ansia e le polveri
Un altro studio della John Hopkins University e dell’Harvard University ha esaminato poi l’associazione tra il particolato atmosferico e l’ansia. Gli scienziati hanno esaminato dati relativi a 71271 donne di età compresa tra 57 e 58 anni, stimando l’esposizione alle polveri PM 2.5 e PM 2.5-10 su periodi di un mese, tre mesi, sei mesi, un anno e 15 anni. I risultati hanno mostrato che circa il 15 per cento delle donne aveva vissuto sintomi ansiosi: l’esposizione al particolato aumentava il rischio di soffrire di ansia, in particolare quello PM 2.5, mentre nessun rischio era legato alle polveri PM 2.5-10. Le donne che risiedevano tra 50 e 200 metri di distanza da una strada di grande scorrimento avevano sintomi ansiosi maggiori di quelle che vivevano a oltre 200 metri e i sintomi più forti si registravano nel primo mese di esposizione. Secondo gli scienziati, il particolato potrebbe innescare o peggiorare i sintomi ansiosi a causa dello stress ossidativo e dell’infiammazione che è in grado di indurre.
Danni anche nei bambini
Si tratta di risultati che si aggiungono a quelli di un altro studio, più piccolo, pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry da parte di un team di scienziati del Children’s Hospital Los Angeles guidato da Bradley S. Peterson. I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione prenatale a un inquinante atmosferico come gli idrocarburi policiclici aromatici (PAH), prodotti dalle automobili, dal fumo e dalla combustione di carbone, potrebbe avere un effetto negativo sul cervello dei bambini, rallentare la velocità di elaborazione cerebrale e contribuire a problemi comportamentali come il deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Circa 40 bambini sono stati seguiti dal periodo fetale fino all’età di 9 anni, con le madri che hanno completato alcuni questionari pre-natali. Gli scienziati hanno trovato un’associazione tra un incremento dell’esposizione pre-natale ai PAH e la riduzione nella materia bianca dei bambini che riguardava l’emisfero sinistro del cervello.