Dietro i banchi di scuola come nei nostri uffici continuiamo a renderci conto che ciascuno di noi percepisce la realtà in maniera differente e riesce ad acquisire nuove conoscenze con approcci molto diversi. Da decenni pedagogisti e psicologi cognitivi classificano questa serie di modalità di studio come stili di apprendimento. Cosa sono? È proprio vero che ognuno di noi adotta uno specifico stile di apprendimento e che solo quello può risultare vincente nella propria esperienza? Un nuovo studio pubblicato su Anatomical sciences education – e di cui parla un articolo di Scientific American – sembra scardinare questa concezione che per molti anni è stata usata e abusata nella costruzione dei programmi scolastici americani ma anche italiani.
Dietro i banchi di scuola come nei nostri uffici continuiamo a renderci conto che ciascuno di noi percepisce la realtà in maniera differente e riesce ad acquisire nuove conoscenze con approcci molto diversi. Da decenni pedagogisti e psicologi cognitivi classificano questa serie di modalità di studio come stili di apprendimento. Cosa sono? È proprio vero che ognuno di noi adotta uno specifico stile di apprendimento e che solo quello può risultare vincente nella propria esperienza? Un nuovo studio pubblicato su Anatomical sciences education – e di cui parla un articolo di Scientific American – sembra scardinare questa concezione che per molti anni è stata usata e abusata nella costruzione dei programmi scolastici americani ma anche italiani.
Cos’è uno stile di apprendimento?
Lo stile di apprendimento è “l’approccio all’apprendimento preferito di una persona, il suo modo tipico e stabile di percepire, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni”, secondo la definizione data da Luciano Mariani, uno dei più importanti esperti italiani nel campo della metacognizione ossia dello studio della consapevolezza di una persona riguardo le proprie capacità e i propri processi cognitivi (percezione, apprendimento, memoria, linguaggio e pensiero, motivazione ed emozione). Esistono quattro differenti stili di apprendimento, legati per lo più ai canali sensoriali:
- lo stile visivo-verbale che utilizza lettura e scrittura. Coloro che adottano questo stile sono soliti prendere appunti, scrivere riassunti, utilizzare i grafici con didascalie, cercare istruzioni e spiegazioni scritte;
- lo stile visivo-non verbale che si aggancia a immagini, disegni, fotografie, simboli, mappe concettuali, grafici e diagrammi;
- lo stile uditivo che privilegia l’ascolto. Le persone che adoperano questo stile preferiscono assistere a una lezione, partecipare a discussioni e a lavori di gruppo con i compagni/colleghi;
- lo stile cinestesico, quello delle attività concrete, come fare l’esperienza diretta di un problema per comprendere ciò di cui si sta parlando.
In ambito scolastico, in termini di programmazione personalizzata, è stata data molta importanza all’individuazione degli stili di apprendimento degli studenti per poter progettare lezioni e attività su misura. Ma è proprio vero, ad esempio, che chi generalmente ha uno stile uditivo imparerà al meglio delle proprie possibilità solo in occasioni in cui sarà agevolato con gli strumenti opportuni?
L’esperimento
Studi precedenti avevano già sottolineato che le prove scientifiche a supporto dell’idea che i risultati possano essere migliori se tecniche di insegnamento e stili di apprendimento si sovrappongono sono scarse. Polly Hussman e Valerie Dean O’Loughlin dell’Indiana University hanno impostato la loro ricerca a partire da un nuovo punto di vista: si apprende a scuola ma anche in altri luoghi e modi, ad esempio attraverso corsi online. In questo caso lo stile di apprendimento prevalente e la strategie effettivamente adoperata combaceranno? Per scoprirlo è stato chiesto a degli allievi di un corso di anatomia di completare una valutazione degli stili di apprendimento online e di rispondere a domande riguardanti la propria strategia di studio. I dati raccolti appartengono a più di 400 studenti che hanno compilato la valutazione degli stili di apprendimento VARK (visual, auditory, reading/writing, kinesthetic) e hanno riportato anche dettagli su come utilizzano il materiale didattico al di fuori della classe. I ricercatori hanno, inoltre, tracciato le performance del campione scelto durante le lezioni teoriche e i laboratori del corso. Lo stile di apprendimento dichiarato nel questionario VARK è stato lo stesso adottato nello studio? I risultati degli studenti sono stati migliori quando il profilo del VARK e la reale strategia si sono sovrapposti?
Alcuni trucchi per studiare meglio
Il 70% non ha adoperato lo stile di apprendimento dichiarato nell’apposita valutazione. E il resto degli studenti? Pur avendo utilizzato i mezzi su cui avevano espresso una preferenza non hanno raggiunto performance migliori, sia a lezione sia in laboratorio. Cade così la convinzione che il profitto degli studenti sia legato strettamente alla mancanza di corrispondenza tra stili di apprendimento e metodo d’insegnamento. Al di là di tutto questo, però, le strategie adottate non sono state così efficaci. Allora come si può studiare meglio? Le scienze cognitive hanno identificato metodi proficui quali suddividere in un intervallo di tempo più esteso le sessioni di studio, utilizzare in più modalità, testare e rielaborare il materiale a disposizione per realizzare connessioni significative invece che procedere a una mera ripetizione dei contenuti. Se siamo già a conoscenza di questi “trucchi”, perché si continua a insistere sugli stili di apprendimento? Probabilmente perché sembrano sostenere l’unicità dell’individuo, concetto a cui siamo particolarmente affezionati in questo momento storico, ma anche per un motivo meno “teorico”: le tecniche descritte sono impegnative ed è più facile pensare di poter trovare una scorciatoia.
La curiosità è una leva particolarmente potente nei processi di apprendimento. Scopriamo insieme a Federico Benuzzi il potere dei “Perché?” nella rubrica “Fisica? Un gioco”, acquistando il numero di aprile 2018 di Sapere.