Sapere Scienza

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Donare il proprio corpo alla scienza: il Visible Human Project

23 Gennaio 2019

Conoscere il corpo umano, questa complessa architettura forgiata dall'evoluzione, è una parte fondamentale della formazione dei futuri medici. La dissezione di cadaveri è stata per anni l'unico modo per comprendere cosa c'è al di là dell'epidermide e come funziona. Da decenni, negli Stati Uniti, i medici del Center for Human Simulation presso il Anschutz Medical Campus dell'Università del Colorado, stanno elaborando una soluzione alternativa, riproducendo dei corpi virtuali a partire dall'analisi per immagini di persone reali che hanno deciso di donare le proprie spoglie alla scienza.

 

Lo studio dell'anatomia: essenziale per i medici di domani

 

Il dettagliato reportage di National Geographic dedicato al progetto Visible Human Project, e in particolare a Susan Potter, il cui corpo è stato il terzo e ultimo a essere convertito in un data base digitale di immagini, ricorda ai lettori le prime pagine della storia dello studio dell'anatomia. I cadaveri umani non sono stati adoperati a scopo didattico sino al XIV secolo: inizialmente l'operazione non era svolta dagli studenti ma solo dai docenti, all'interno di teatri anatomici. I giovani avevano così la possibilità di osservare mani esperte sezionare l'oggetto dei propri studi senza, però, avere accesso diretto a questa pratica. È stato proprio a Padova, in cui si trova uno dei più celebri teatri anatomici, che Andrea Vesalio, medico, anatomista e professore presso l'università della città, fece sì che i discenti potessero dissezionare personalmente i cadaveri. Analizzare la struttura del corpo umano così da vicino, nei primi anni di studio, è essenziale per la formazione dei futuri medici, sebbene il carico emotivo di questo tipo di esercitazione sia difficile da gestire.

 

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E se esistesse un cadavere virtuale? Il progetto

 

Il prezzo da pagare nelle lezioni di anatomia non è solo emotivo ma anche economico: sempre secondo i dati riportati nell'articolo di National Geographic, attualmente non più di 150 ore sono dedicate alla dissezione di cadaveri nei corsi di anatomia dell'Università del Colorado; ciò è dovuto in parte alla presenza di altri rami della ricerca medica - probabilmente dotati di maggior "appeal" - verso i quali molti studenti convergono, come la genetica molecolare, d'altro canto i cadaveri sono costosi e non riutilizzabili. Non si paga un corpo senza vita ma il suo trasporto, l'imbalsamazione e la conservazione, giungendo a una cifra pari a 1900 dollari. E se esistesse un corpo virtuale, in grado di ricomporsi infinite volte, per aiutare i ragazzi nelle esercitazioni di anatomia? Questa fu l'epifania di Michael J. Ackerman, allora vicedirettore della sezione calcolo ad alta prestazione e comunicazione della U.S. National Library of Medicine, che ideò e cominciò a realizzare il Visible Human Project. Di cosa si tratta? Dalla seconda metà degli anni Ottanta a oggi il Visible Human Project ha prodotto rappresentazioni tridimensionali del corpo femminile e di quello maschile, anatomicamente dettagliate e completamente accessibili al pubblico. In particolare, il materiale a disposizione consta di una libreria di immagini ottenute mediante scansione tomografica (la TAC - Tomografia Assiale Computerizzata) e risonanza magnetica di sezioni di una donna e di un uomo che hanno ceduto i propri corpi al progetto. La serie di informazioni ricavata è servita come riferimento per lo studio dell'anatomia umana ma anche per testare gli algoritmi impiegati nella diagnostica per immagini e come banco di prova e modello per la costruzione di librerie di immagini accessibili in rete. I dati sono stati base di studio in molti altri contesti quali la realtà virtuale, l'arte, la matematica e l'industria.

 

I donatori: non solo corpi sani

 

Cosa sappiamo dei Visible Human riprodotti? Il Visible Man è morto a 39 anni nel 1993: era un condannato a morte per omicidio a cui è stata somministrata l'iniezione letale. Il suo corpo, dapprima congelato, è stato tagliato in 2000 sezioni di un millimetro e, quindi, digitalizzato. I suoi dati sono stati rilasciati pubblicamente nel 1994.
La Visible Woman era una donna del Maryland, venuta a mancare a 59 anni per infarto. È stata suddivisa, un anno dopo il decesso, in 5000 sezioni spesse 0,33 millimetri e il suo data set è stata reso disponibile al pubblico nel 1995.
Non è finita qui. Nel 2000 Victor M. Spitzer, professore e radiologo coinvolto nel progetto, è stato contattato da Susan Potter, una donna di 72 anni, attivista per i diritti dei disabili, che ha espresso la volontà di donare le proprie spoglie affinché venissero trasformate post-mortem in un terzo Visible Human. Spitzer, mostratosi inizialmente diffidente, si rese conto che, a questo punto, era necessario superare il concetto di corpo sano nella didattica dell'anatomia: alla fine sono pazienti malati quelli con cui i futuri medici avranno a che fare nella loro carriera. E di patologie e operazioni chirurgiche Susan Potter ne aveva subite tante, tra cui una doppia mastectomia, un melanoma, un'operazione alla colonna vertebrale, il diabete, la sostituzione di un'anca e ulcere.
Nel 2015, a 87 anni, Susan è morta di polmonite: i suoi resti sono stati mantenuti a -26 gradi e, nel 2017, le sezioni ottenute per la digitalizzazione sono state ben 27.000, "fotografate" in 60 giorni. Ora si sta procedendo all'evidenziazione di strutture quali i tessuti, gli organi e i vasi, in ciascuna sezione digitale per indicare scheletro, nervi e apparato circolatorio in dettaglio. Un lavoro lungo e faticoso che impegnerà gli scienziati per due o tre anni.
La storia della partecipazione di Susan Potter al Visible Human Project è stata seguita e documentata da Cathy Newman e Lynn Johnson del National Geographic dal 2004. Per maggiori dettagli è possibile leggere l'articolo dedicato o guardare il video realizzato sempre da NG.

 

 

Esistono uomini e donne che hanno inconsapevolmente dato un contributo alla scienza con i propri resti. Uno di questi è Ötzi, l'Uomo di Similaun. Se siete curiosi di conoscere i risultati degli studi che lo riguardano, acquistate e leggete l'articolo di Pasquale Pellegrini e Günther Kaufmann, "Ötzi, l'Uomo venuto dal ghiaccio", pubblicato nel numero di aprile 2017 di Sapere.

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