Sono passati alcuni mesi dalla presentazione della prima immagine di un buco nero ma questo risultato non smette ancora di stupirci. In occasione del Black Hole Week, la NASA ha rilasciato una nuova e suggestiva rappresentazione dell’oggetto celeste per illustrarne chiaramente struttura e caratteristiche.
Sono passati alcuni mesi dalla presentazione della prima immagine di un buco nero ma questo risultato non smette ancora di stupirci. In occasione del Black Hole Week, la NASA ha rilasciato una nuova e suggestiva rappresentazione dell’oggetto celeste per illustrarne chiaramente struttura e caratteristiche.
Un piccolo passo indietro: la prima “fotografia” di un buco nero
Il 10 aprile scorso una conferenza stampa in diretta mondiale ha mostrato i risultati del progetto Event Horizon Telescope: la prima immagine di un buco nero, per l’esattezza di quello al centro della galassia Messier 87, distante 55 milioni di anni luce da noi. La “foto” è il frutto di una raccolta di dati effettuata da una rete di telescopi tra il 5 e il 14 aprile 2017, ben 4 petabyte, (4000 terabyte) di informazioni che, elaborate da un supercomputer e successivamente analizzate da più gruppi di lavoro, hanno portato al risultato che ha stupito non solo la comunità scientifica. Se sentite il bisogno di un piccolo ripasso di cosa sia un buco nero, potete rileggere uno dei nostri articoli o guardare questo simpatico video:
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Una rappresentazione ipnotizzante
Come descritto nella presentazione dell’immagine pubblicata dalla NASA, questa rappresentazione simula l’aspetto di un buco nero dove la materia in caduta viene raccolta in una struttura sottile e calda chiamata disco di accrescimento. La gravità del buco nero distorce la luce emessa di diverse regioni, donandogli l’aspetto deforme che potete vedere. Nodi luminosi si formano e si disperdono costantemente nel disco mentre i campi magnetici si snodano e girano attraverso i gas che ribollono.
Più in prossimità del buco nero, il gas orbita a una velocità molto vicina a quella della luce mentre la porzione più esterna si muove più lentamente. Questa differenza allunga e interrompe i nodi luminosi, così da creare le corsie di luce e ombra presenti nel disco.
Osservando l’immagine a partire dai lati, il disco appare più luminoso da sinistra per poi diventare più scuro a destra. Perché accade questo? Il gas luminoso sul lato sinistro si muove verso di noi così velocemente che l’effetto della relatività di Einstein gli conferisce una maggiore brillantezza; al contrario, sul lato destro, il gas si allontana da noi, spegnendosi. Ciò dipende dalla nostra posizione di osservatori: è l’effetto Doppler che alcuni di voi conosceranno, per cui vi è un cambiamento apparente della frequenza o della lunghezza d’onda percepita da un osservatore raggiunto da un’onda emessa da una sorgente che si trovi in movimento rispetto all’osservatore stesso. Questa asimmetria scomparirebbe se guardassimo il disco frontalmente, perché nessun materiale si muoverebbe lungo il nostro campo visivo.
Vicino al buco nero la flessione gravitazionale della luce diventa così accentuata che possiamo vedere, al di sotto del disco, un anello di luce che sembra delineare lo stesso buco nero: è l’anello fotonico, composto di più cerchi, che diventano progressivamente più deboli e sottili.
Questa visualizzazione è stata modellata su un buco nero sferico ed è per questo motivo che l’anello fotonico è circolare e identico da qualsiasi angolazione lo guardiamo. Nell’anello c’è l’ombra del buco nero, un’area che ha dimensioni doppie rispetto all’orizzonte degli eventi, che è il confine della regione dalla quale non può uscire alcun segnale, in cui luce e materia vengono inghiottiti senza poter più tornare indietro.
Un po’ di storia delle rappresentazioni dei buchi neri
L’immagine prodotta dalla NASA sulla base delle scoperte dell’aprile scorso è complessa quanto affascinante. Ma già negli anni ’70 qualcuno si stava dedicando alla possibile rappresentazione di un buco nero, con dati, carta e inchiostro alla mano. Stiamo parlando di Jean-Pierre Luminet, astrofisico dell’Osservatorio di Parigi. Nel 1979 utilizzò le informazioni ricavate da calcoli al computer per disegnare a mano un buco nero, tracciando numerosi puntini su un foglio bianco e poi ricavando un negativo fotografico per l’immagine finale. Tenendo conto degli strumenti a disposizione in quegli anni, quello ottenuto è stato un buon risultato.
Prima simulazione al computer di un buco nero con un disco di accrescimento sottile, calcolato da J.-P. Luminet nel 1978 (ref. Astronomy & Astrophysics, 75, 228, 1979). Credits: Jean-Pierre Luminet – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79212687
Lo stesso Luminet, nel febbraio di quest’anno, ha pubblicato una storia illustrata delle rappresentazioni grafiche dei buchi neri, la testimonianza di tutti i progressi compiuti negli ultimi decenni, dal disegno manuale alle simulazioni computerizzate, passando attraverso gli effetti speciali di pellicole come Interstellar.
Continuate a immergervi nei segreti dello spazio scoprendo cosa sono le onde gravitazionali. Come? Leggete l’articolo di Fulvio Ricci, “Cosa sono le onde gravitazionali e come si rilevano”, pubblicato nel numero di febbraio 2017 di Sapere.
Credits immagine: NASA’s Goddard Space Flight Center/Jeremy Schnittman