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settembre-ottobre 2024

Il mito di Atlantide: tutti gli scenari scientifici

Mauro Degli Esposti, Centro de Ciencias Genómicas, UNAM, Cuernavaca, Messico

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Il mito di Atlantide ci appassiona da 23 secoli. Questo articolo presenta scenari plausibili, basati sulle conoscenze scientifiche attuali, della saga sull’antica città scomparsa sotto il mare.

 

È stato Platone a introdurre nella nostra cultura il mito di Atlantide, un’antica città che scomparve sotto i flutti del mare. Il mito, o per meglio dire la saga, di Atlantide rimane ancora oggi una questione aperta [1], ma ha sinora attratto prevalentemente entusiasti del “romanticismo pseudoscientifico”. Raramente scienziati professionisti si sono avventurati a trattare questo mito; in Italia, l’archeologo Massimo Pallottino [2] e il geologo Bruno Martinis [3] sono fra i pochissimi esempi. Ma nessuno ha provato a presentare una visione scientificamente aggiornata dei plausibili scenari che potrebbero aver ispirato la saga di Atlantide. Questo articolo si propone proprio di esplorare tali scenari.

 

Atlantide, un’invenzione platonica?

 

Partiamo dal nome, Atlantide. L’enfasi interpretativa su perché mai solo Platone abbia parlato di Atlantide, quando scrittori o storici antichi, precedenti o successivi, non ne hanno mai fatto menzione, potrebbe avere una spiegazione molto semplice: Platone si è inventato un nome nuovo, Atlantide – con forti richiami a mitologie greche – per una città/civiltà che i Greci conoscevano con un altro nome di origine non greca, Tartessos. Gli Assiri e i Cananei, inclusi i Fenici che hanno lasciato ben poche testimonianze scritte, la chiamavano Tarshish.

Tarshish viene menzionata varie volte nella Bibbia, inizialmente riguardo alla spedizione ebreo-fenicia del re Salomone nel X secolo a.C. che portò in Israele molti metalli preziosi, fra cui argento, nonché animali esotici come scimmie; questa nozione localizza geograficamente Tarshish vicino alla rocca di Gibilterra, l’unico posto in Europa dove si trovano scimmie selvagge [4].

Tornando a Platone, sembra quasi impossibile che non conoscesse qualcosa di Tartessos-Tarshish visto che marinai greci l’avevano raggiunta e descritta sin dal 640 a.C. circa, a seguito del viaggio di Coleo di Samo [5]. Coleo navigava normalmente fra Samo e Naukratis, la colonia stabilita nel delta del Nilo (VII secolo a.C.) dai Greci della Ionia orientale nell’ambito del commercio fra le loro città-stato e il Levante, quell’ampia parte del Medio Oriente che è bagnata dal mar Mediterraneo, fra i monti del Tauro nell’odierna Turchia sud-orientale e il deserto del Sinai in Egitto, comprendente gli attuali Stati di Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania.

 

Illustrazione di come era il Mediterraneo nel VI secolo a.C., all’apice della civiltà di Tartessos e nel pieno delle guerre
commerciali fra Fenici e Greci.

 

Una guerra commerciale per l’argento

 

I Fenici e i loro padroni dell’epoca, gli Assiri, si scontrarono ripetutamente con pirati e mercenari greci della Ionia anche prima del VII secolo a.C. Col tempo, questo scontro presumibilmente diventò una vera e propria guerra commerciale per assicurarsi metalli preziosi come l’argento, usato come moneta di scambio nel Levante e nell’impero neo-assiro. Studi di chimica analitica applicati a tesoretti di argento ritrovati in vari siti archeologici israeliani hanno dimostrato un repentino cambiamento nella fonte del metallo. Mentre prima del VII secolo a.C. l’argento proveniva esclusivamente dall’Iberia, quindi da Tartessos che lo produceva e commercializzava tramite i Fenici, dalla metà dello stesso secolo l’argento proveniva da Laurion, cioè dalle miniere dell’Attica controllate da Atene [6].

I Greci stavano soppiantando i Fenici a seguito degli scambi stimolati dalla 26esima dinastia egizia, che aveva come capitale Sais, vicino a Naukratis. Proprio a Sais, Solone raccolse la storia di Atlantide riportata nei dialoghi di Platone, storia che conteneva menzione di un’antica guerra fra gli Atlantidei e Atene. Probabilmente questa storia equiparava gli Atlantidei ai Fenici (inclusa la loro emergente colonia di Cartagine) e ai loro alleati del Mediterraneo occidentale, fra cui Tartessos, che avevano perso la guerra commerciale coi Greci.

Siccome il racconto di Platone mescola miti basati su varie origini storiche, la presunta guerra fra Atlantide e Atene potrebbe in parte riflettere un reale episodio bellico che ebbe forse maggiore risonanza all’epoca: la guerra fra le colonie di Focea, una prominente polis della Ionia originariamente fondata da Atene, e le due principali potenze del Mediterraneo occidentale. Massalia (l’odierna Marsiglia) era la principale colonia di Focea e nel VI secolo a.C. si scontrò con l’alleanza fra Cartaginesi ed Etruschi che voleva impedire l’espansione dei Greci nel Mediterraneo occidentale. Questa guerra aveva forti connotazioni commerciali, visto che Massalia aveva già intrapreso scambi con Tartessos ed era diventata l’emporio principale per il trasporto via terra, e poi per la distribuzione via mare, dello stagno della Bretagna e della Cornovaglia. Nella battaglia di Alalia del 535 a.C. i Focei sconfissero l’alleanza fra Cartaginesi ed Etruschi, ma con perdite così gravi da fiaccarne la potenza commerciale. E subito dopo Tartessos scomparve dalla storia, molto probabilmente a seguito di terremoti e maremoti ora documentabili.

 

Timeline degli eventi storici e altri dati riguardanti la civiltà di Tartessos e il mito di Atlantide concepito da Platone. La civiltà del bronzo finisce fra il IX e VIII secolo a.C. nell’Europa occidentale.

 

 

Secondo Platone, la mitica Atlantide fece la stessa fine, ma nello spazio di un giorno e una notte. Questa rapidità di inabissamento probabilmente riflette il ricordo di catastrofi naturali che accaddero durante la vita del filosofo: prima la scomparsa dell’isoletta greca chiamata Atalanta (sic!) durante la guerra del Peloponneso (descritta in dettaglio da Tucidide), e poi il rapido inabissamento della città di Helike nel golfo di Corinto (quindi abbastanza vicina ad Atene), provocato dal devastante terremoto del 373 a.C., una dozzina di anni prima che Platone scrivesse i Dialoghi con la storia di Atlantide (circa 360 a.C.).

 

 

Erodoto scrisse di Tartessos

 

Diverse informazioni su Tartessos qui menzionate sono state inizialmente riportate da Erodoto (nei libri I e IV delle sue Storie). Erodoto era contemporaneo di Socrate, personaggio ricorrente nei dialoghi di Platone, inclusi quelli che descrivono il mito di Atlantide. Come Solone in uno di questi dialoghi, Erodoto apprese varie informazioni storiche da sacerdoti in Egitto e spesso le descrisse mescolandole a racconti mitologici. Ciò forse stimolò Platone a dare una patina storiografica al racconto della mitica Atlantide, di cui si era probabilmente inventato il nome per esigenze divulgative, diciamo di spin-off, del messaggio filosofico-politico che voleva presentare nei suoi dialoghi Timeo e Crizia.

Platone non si professava storico e quindi i suoi racconti non seguivano una precisa collocazione cronologica dei tempi passati, come si era riproposto invece di fare Erodoto, con metodi investigativi integrati che sono rimasti fondamentali nelle discipline storiche.

 

 

Cosa si sa di Tartessos oggi?

 

Un secolo fa, archeologi come Adolf Schulten furono affascinati dall’idea che Tartessos avesse potuto ispirare Platone per la storia di Atlantide. Fra gli autori italiani che hanno scritto su Atlantide, Tartessos – Tartesso in italiano – è stata menzionata sia da Pallottino che da Peter Kolosimo in Terra senza tempo (1968); entrambi però esclusero una possibile coincidenza fra la civiltà di Tartessos e Atlantide, sulla base di concetti deboli e non chiari. Infatti, le conoscenze attuali derivano da studi archeologici fatti in seguito, specialmente dagli anni ’80 in poi.

Tartessos si sviluppò come autoctona civiltà nella regione dell’Iberia meridionale corrispondente all’odierna Andalusia. Questa civiltà ebbe il suo apice dopo aver stabilito intensi contatti con i Fenici, che si erano spinti oltre le colonne d’Ercole – lo stretto di Gibilterra – sin dal X secolo a.C. alla ricerca di metalli da commerciare, specialmente l’argento. Dopo aver intessuto legami commerciali con città tartessiche come l’odierna Huelva, i Fenici fondarono Gadir, l’odierna Cadice, che divenne la loro colonia principale a Occidente.

Lo stabilirsi di mercanti e coloni dal Levante nelle coste dell’Iberia atlantica introdusse tecnologie avanzate specialmente nel campo della metallurgia, che stimolarono l’estrazione di metalli nella cosiddetta fascia di pirite (pyrite belt, in marrone nella figura iniziale) che si estendeva dal Portogallo meridionale fino alle colline a est dell’Andalusia e possedeva i giacimenti metalliferi più ricchi di tutto il Mediterraneo. I Fenici sfruttarono anche le miniere di piombo dell’Iberia orientale, materiale che smerciavano fino a Tartessos per facilitare il processo di separazione dell’argento.

Questi scambi commerciali e tecnologici alimentati dai Fenici arricchirono enormemente Tartessos e le sue città, che raggiunsero il massimo splendore nel VI secolo a.C. La scomparsa di questa civiltà, successiva alla visita dei marinai Focei nel VI secolo, fu probabilmente causata da terremoti e maremoti di forte intensità, simili a quello che distrusse Lisbona nel XVIII secolo. La forza devastante di tali eventi ha probabilmente polverizzato edifici e città intere, come la capitale di Tartessos descritta dai Greci, ubicata in una grande insenatura dell’Atlantico, che venne progressivamente interrata durante la dominazione cartaginese dal III secolo a.C.

 

Illustrazione geografica della regione della Spagna meridionale in cui si sviluppò la civiltà di Tartessos. LIGUR indica l’insenatura marina che  poi diventò una laguna paludosa descritta da storici romani come lago Ligustrino dopo che Tartessos fu devastata da terremoti e maremoti vari.

 

Chi erano gli abitanti di Tartessos?

 

Studi di archeogenetica hanno dimostrato un flusso di geni provenienti da popolazioni del Levante (presumibilmente Fenici) negli abitanti dell’Iberia meridionale dalla fine dell’Età del bronzo all’Età del ferro, dopo il 1000 a.C. [7]. Sinora non è stato possibile ottenere del DNA genomico da scheletri di persone associate direttamente alla massima espansione della cultura di Tartessos, fra il VII e il VI secolo a.C., a causa della pratica di cremazione dei defunti. Tuttavia, i dati disponibili da almeno un sito tartessico dell’Età del bronzo indicano una continuità genetica con le altre popolazioni dell’Iberia meridionale dell’epoca: tratti indoeuropei provenienti dal Nord e dalla Francia stavano diventando predominanti rispetto alla popolazione derivata dalla fusione di antichi elementi autoctoni di cacciatori-raccoglitori con coltivatori e allevatori giunti da Oriente prima dell’Età del bronzo.

Sulla base dei dati attuali di archeogenetica, si potrebbe postulare che la civiltà di Tartessos ebbe il suo splendore in concomitanza con l’influsso culturale e genetico dei Fenici del Levante sulla popolazione della Spagna meridionale al di là dello stretto di Gibilterra. In altre parole, gli attuali abitanti di Huelva e Cadice potrebbero essere più simili agli “Atlantidei” di qualsiasi altra popolazione del Mediterraneo.

Reperti archeologici di Tartessos.

 

Perché gli archeologi spagnoli non collegano Tartessos alla mitica Atlantide?

 

Dalle varie congetture e informazioni riportate in questo articolo, emerge un plausibile scenario per il mito di Atlantide: la civiltà scomparsa di Tartessos potrebbe aver ispirato Platone a descrivere la saga della città perduta di Atlantide. Ma come mai gli esperti spagnoli che stanno portando alla luce sempre maggiori reperti archeologici della civiltà di Tartessos non la collegano al mito di Atlantide?

Per esempio, i recenti studi su Tartessos dell’eminente archeologo Celestino Pérez non menzionano Atlantide. Gli archeologi spagnoli fondamentalmente si dissociano dal fantasioso legame di Tartessos con la leggenda di Atlantide inizialmente prospettato da Schulten poiché non esisterebbero prove che Tartessos possa corrispondere ad Atlantide. Si possono avanzare obiezioni a questa posizione «orgogliosamente scettica» degli archeologi spagnoli (come l’ha definita Pallottino): del resto, non esistono neppure dati scientifici che contraddicano chiaramente la stessa corrispondenza. Quindi, lo scenario di Tartessos come possibile ispirazione per il mito di Atlantide rimane valido, fino a prova contraria.

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

[1] S.P. Kershaw, A Brief History of Atlantis: Plato’s Ideal State, Robinson, Cave Junction (OR) 2017.
[2] M. Pallottino, “Atlantide”, Archeologia classica, 4, 1952, pp. 229-240.
[3] B. Martinis, Atlantide: mito o realtà?, Dedalo, Bari 1989.
[4] M. Torres-Ortiz, Taršiš, Tartessos, Turdetania, in M. Almagro-Gorbea, Iberia. Protohistory of the Far West of Europe, Fundación Atapuerca, Universidad de Burgos, 2014, pp. 251-283; R.W. Kühne, “Tartessos-Tarshish was the model for Plato’s Atlantis”, OSF, 2019.
[5] M. Álvarez-Martí-Aguilar, “A Major Earthquake and Tsunami in the Gulf of Cadiz in the Sixth Century B.C.?”, Seismological Research Letters, 94, 2023, pp. 975-982.
[6] T. Eshel et al., “From Iberia to Laurion: Interpreting Changes in Silver Supply to the Levant in the Late Iron Age Based on Lead Isotope Analysis”, Archaeological and Anthropological Sciences, 14, 2022.
[7] I. Olalde et al., “The genomic history of the Iberian Peninsula over the past 8000 years”, Science, 363, 6432, 2019, pp. 1230-1234.

 

 

 

 

 

 

Stefano Dedalo
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