Secondo una leggenda cinese, l’imperatrice Si Ling-Chi sorseggiava un tè caldo sotto un gelso quando un bozzolo cadde nella tazza. Rimuovendolo, si accorse che da esso si dipanava un lunghissimo filo che scintillava in controluce: così sarebbe iniziata la sericoltura in Cina. L’Italia divenne poi il più importante Paese esportatore di seta in tutto il mondo, grazie all’introduzione della sericoltura a Palermo da parte degli Arabi nel IX secolo.
La seta è una proteina strutturale prodotta da molti animali. Quella dei ragni ha le migliori prestazioni meccaniche ma sono bestiole difficili da allevare. Più semplice è usare la seta dei lepidotteri, in particolare quella del baco da seta Bombyx mori.
Oltre che nell’abbigliamento, la seta è stata impiegata in ambito biomedico fin dagli antichi Greci: piccole stoffe di seta venivano adagiate sulle ferite dei guerrieri per facilitarne la guarigione. Oggi le fibre sono impiegate per le suture in chirurgia grazie alla loro resistenza e alla mancanza di reazioni allergiche.
Il mio progetto di dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari si è focalizzato sulla funzionalizzazione chimica della seta con i metalli della serie dei lantanidi per ottenere materiali fibrosi dalle proprietà optoelettroniche uniche. Il problema iniziale più importante è stato capire come sciogliere il biopolimero in sistemi acquosi. Sono riuscito a mettere a punto un nuovo metodo di dissoluzione basato sul cloruro di cerio e a estenderlo a metalli come lantanio, europio, neodimio, disprosio; insomma, ho ottenuto fibre “drogate” con i lantanidi!
Vi è un forte interesse nel drogaggio di materiali fibrosi con lantanidi per le proprietà optoelettroniche di questi elementi, che sono potenzialmente applicabili nel campo delle fibre ottiche e altri sistemi fotonici. I lantanidi sono infatti degli elementi con proprietà luminescenti uniche che hanno un’altissima resa di emissione di fotoni (le particelle associate alla radiazione luminosa) con bande molto strette, cioè colori composti da poche lunghezze d’onda, opportunamente modulabili.
Mi sono inoltre posto l’obiettivo di ottenere una seta che potesse resistere al contatto con l’acqua. Ho sintetizzato alcune molecole idrofobiche – non particolarmente contente di stare in acqua – derivate da acidi grassi e le ho attaccate alla proteina, creando così una nuova seta idrofobica resistente all’acqua: un materiale superidrofobico.
La grande stabilità termica, chimica e meccanica della seta, tuttavia, può essere piegata al proprio volere. È il caso del mio terzo progetto in cui le fibre sono state impiegate come supporto per l’ancoraggio di palladio, un metallo preziosissimo usato come catalizzatore per far avvenire numerose reazioni organiche (tra cui le famose reazioni di Suzuki-Miyaura, in cui due molecole reagiscono per creare composti contenenti due anelli chimici detti “aromatici”, utili per farmaci e molecole luminescenti). Il catalizzatore ha mostrato una eccellente versatilità e stabilità termo-meccanica, caratteristiche difficili da ottenere con altri supporti organici, inorganici o di sintesi.
Giorgio Rizzo
Giorgio, laureatosi in Chimica con specializzazione magistrale in Chimica dei Sistemi Molecolari, oggi frequenta la scuola di Dottorato in Scienze Chimiche e Molecolari presso l’Università di Bari.