Sempre più spesso sentiamo parlare di nanotecnologie e nanomateriali. Se da un lato i termini tecnologia e materiali sono di facile comprensione, dall’altro può essere utile chiarire il significato di nano.
La parola nano e le più familiari mega e kilo, utilizzate in riferimento ai megabyte di un programma per computer e ai kilogrammi del nostro peso corporeo, sono prefissi che indicano multipli o sottomultipli di una specifica unità di misura, nel nostro caso il metro. Più specificamente 1 nm = 0,000000001 m, quindi la nanotecnologia altro non è che la manipolazione di oggetti su scala nanometrica e i nanomateriali, ovvero i prodotti finiti di questa manipolazione, sono oggetti un miliardo di volte più piccoli di un metro.
In questa dimensione trovano posto anche i Quantum Dots (QDs): si tratta di nanocristalli luminescenti (cioè che emettono luce), costituiti da un nucleo (core) di un semiconduttore inorganico tipo cadmio seleniuro e da uno o più gusci (shell) di un altro semiconduttore tipo zinco solfuro, ricoperti da molecole organiche legate alla loro superficie.
Questi materiali sono estremamente innovativi grazie alle loro peculiari proprietà, come il colore della luce emessa, che risultano essere dipendenti dalla loro dimensione.
Durante il mio dottorato di ricerca svolto all’Università di Bologna e in cotutela con l’Università di Bordeaux (Francia), ho contribuito allo sviluppo di un nuovo metodo per manipolare la capacità di sciogliersi in un liquido, o solubilità, di questi nanocristalli.
Molte delle applicazioni per cui i QDs sono considerati decisamente promettenti, come la nanomedicina, necessitano in particolare della loro solubilità in soluzioni acquose, e dal momento che, normalmente, i QDs sono idrofobici (cioè non compatibili con l’acqua), diventa indispensabile trovare una strategia che li renda idrosolubili, come la sostituzione delle molecole superficiali inizialmente impiegate nella loro sintesi con delle nuove molecole che rendano possibile il loro trasferimento in acqua.
La strategia adottata è stata focalizzata sull’acido lipoico, una molecola in grado di attaccarsi alla superficie dei nanocristalli e contemporaneamente capace di impartire solubilità in solventi acquosi. Questo metodo è stato testato su campioni diversi e per ciascuno è stato osservato sperimentalmente che le proprietà morfologiche, cioè la forma del nanocristallo, e ottiche, come la lunghezza d’onda della luce emessa, rimangono inalterate dopo lo scambio dei leganti.
Inoltre, questa strategia di scambio delle molecole più esterne è risultata utile per manipolare la solubilità dei nanocristalli in un ampio numero di solventi diversi anche non acquosi, semplicemente controllando con precisione le condizioni sperimentali adottate. Si tratta quindi di un processo adatto alla produzione di nanocristalli idrofobici e idrofilici da impiegare in diverse applicazioni.