La meccanica quantistica è una disciplina affascinante: descrive fenomeni che non hanno un corrispettivo nella nostra esperienza quotidiana.
Giochi di luci
Un esempio? Prendiamo una pallina da tennis e mettiamola in una scatola: se nessuno la tocca, lei starà ferma lì per sempre. Prendiamo un elettrone e confiniamolo in una sferetta di pochi nanometri di diametro: lui non sta mai fermo e il suo movimento sarà descritto da equazioni quantomeccaniche. Secondo queste ultime, l’elettrone vagante nella sfera può seguire solo traiettorie permesse e soprattutto può possedere solo precisi valori di energia. Quando riceve la giusta radiazione ultravioletta, l’elettrone aumenta la sua energia: per ritornare a valori più bassi rilascia radiazione di luce visibile.
Il tipo di luce in gioco dipende dalle dimensioni della sferetta e dal materiale di cui è composta. Più la sfera è piccola, più la colorazione emessa si spinge verso il blu; più è grande, più il suo colore è rosso.
La straordinarietà dell’effetto sta tutta qui: lo stesso materiale può produrre colori diversi se le sferette che lo compongono hanno diametro diverso. Uno stesso materiale, tutto l’arcobaleno a disposizione.
I quantum dots: dalla teoria alla pratica
I quantum dots, oggetto del premio Nobel per la Chimica a Ekimov, Brus e Bawendi, sfruttano proprio questo fenomeno unico della meccanica quantistica.
Il merito dei tre scienziati è stato la trasformazione della teoria in pratica: l’effetto appena descritto era noto fin dagli anni ’30 ma rimaneva solo sui libri. Una favola della buonanotte per chimici in erba. La comunità scientifica era abbastanza certa che non fosse possibile produrre tante sferette così piccole tutte uguali: si sbagliava di grosso.
Prima Ekimov sperimentò la dispersione di atomi di rame nel vetro ottenendo colori diversi in base alle dimensioni delle particelle di rame, poi Brus raggiunse risultati simili lavorando in solventi organici. I due hanno quindi aperto la strada all’uso pratico di quantum dots in laboratorio e in esperimenti controllati, ma mancava un ultimo passo: una tecnologia arriva nella vita di tutti se la produzione dei materiali è facile e industrializzabile.
Qui si inserisce il lavoro di Bawendi: ha messo a punto una tecnica semplice, riproducibile e scalabile per produrre quantum dots del colore desiderato. A trent’anni anni dalla sua invenzione, il metodo a iniezione rapida è ancora oggi il processo più usato in tutto il mondo per sintetizzare quantum dots.
Le ricadute tecnologiche
Come affermato da Bawendi durante la conferenza stampa di conferimento del premio Nobel, la sua procedura è stata fin da subito accolta con entusiasmo dai colleghi: la comunità scientifica aveva compreso la portata della scoperta prima di Bawendi stesso. Il principale motivo di tanta eccitazione sta nelle ricadute tecnologiche dei quantum dots: oggi sono sfruttati in biomedicina, nell’illuminazione e nelle celle solari. Anche i televisori a più alta definizione possiedono dei quantum dots e sono molto utili nei led, dove rendono la luce più piacevole alla vista.
I quantum dots sono il più affascinante e colorato esempio di come i fenomeni quantomeccanici stanno diventano sempre più di uso comune per modificare e modellare la struttura dei materiali. La meccanica quantistica, nata come disciplina astratta e quasi fantasiosa, sta sempre più mostrando al mondo la sua concretezza.
Immagine di copertina: Physicsexperimentsorg – Wikimedia