Perché il “finto oro” fatto di orpimento e argento si sta inscurendo in alcuni dipinti dell’arte medievale? Come la diagnostica chimica può contribuire all’ottimizzazione delle loro condizioni di conservazione?
Una ricerca pubblicata sul Journal of Analytical Atomic Spectrometry e guidata dai ricercatori del CNR-SCITEC e dell’Università di Bologna ha fornito una risposta, esaminando campioni provenienti da alcune decorazioni in “finto oro” della Maestà di Santa Maria dei Servi del Cimabue a Bologna.
Il colore dell’oro
L’orpimento è un minerale giallo appartenente alla categoria dei solfuri d’arsenico, con formula cristallochimica As2S3. Il suo nome deriva dal tedesco operment, una parola riadattata dal latino auripigmentum (aurum = oro e pigmentum = pigmento), in riferimento al colore simile a quello dell’oro.
Per la sua tonalità giallo brillante esso, sin dall’antichità, ha trovato largo uso come pigmento in diversi tipi di opere d’arte, quali pitture murali egizie e cinesi, manoscritti, icone greche, stampe giapponesi Ukiyo-e, dipinti medievali e rinascimentali, pannelli decorativi. È stato spesso impiegato anche in miscela con altri pigmenti, come l’indaco o l’ocra rossa, per produrre tonalità verdi o arancio, e con polveri di metallo, quali l’argento, per imitare le più costose dorature, in genere costituite da oro in foglia.
La Maestà del Cimabue e la perdita di brillantezza
L’uso del “finto oro” fatto di orpimento e argento metallico è stato identificato in alcuni dettagli decorativi di opere di celebri pittori italiani del tardo Medioevo, tra cui Cimabue (1240 ca.-1302) e Pietro Lorenzetti (ca. 1280/85-1348). Tuttavia, numerosi di questi dettagli non sono immuni al passare del tempo come, invece, l’oro vero, mostrando oggi un evidente inscurimento che ha fatto perdere loro la brillantezza originale. Questo fenomeno è ben visibile in varie decorazioni del trono della Maestà di Santa Maria dei Servi del Cimabue, conservata presso l’omonima basilica di Bologna.
Le cause dell’inscurimento
Per contribuire all’ottimizzazione delle strategie di conservazione preventiva della Maestà, due sono le domande a cui è necessario rispondere:
1. Qual è il processo chimico che è alla base dell’inscurimento?
2. Quali sono i fattori ambientali che hanno determinato il viraggio di colore del “finto oro”?
I ricercatori hanno risposto a tali quesiti, integrando lo studio di un paio di micro-frammenti prelevati da alcune decorazioni del trono in “finto oro” della Maestà e di una serie di provini pittorici a tempera, realizzati in laboratorio utilizzando una miscela di orpimento e argento metallico (analoga a quella identificata nelle aree inscurite del dipinto) e sottoposti a invecchiamento artificiale in condizioni controllate di luce, umidità e temperatura.
Le indagini su tali materiali sono state condotte attraverso metodi di micro-spettroscopia vibrazionale in laboratorio (FT-IR e Raman) e tecniche impieganti sorgenti ai raggi X presso l’infrastruttura europea del sincrotrone ESRF (Grenoble, Francia) e il sincrotrone nazionale tedesco PETRA III-DESY (Amburgo, Germania).
In particolare, le micro-analisi di assorbimento e diffrazione di raggi X hanno dimostrato che l’inscurimento è causato dalla formazione di un composto nero derivante dalla reazione tra l’orpimento e l’argento metallico: il solfuro d’argento (α-Ag2S). La trasformazione chimica, favorita dall’esposizione all’umidità e/o alla luce, è inoltre accompagnata dalla formazione di altri composti di alterazione biancastri, quali solfati e arseniati, entrambi originati dall’ossidazione dell’orpimento.
Cosa fare per prevenire o mitigare il viraggio di colore?
L’analisi del dipinto e dei provini pittorici, eseguita con metodi d’indagine tra loro complementari e caratterizzati da elevata specificità, sensibilità e risoluzione laterale, ha fatto luce sull’origine ed evoluzione del complesso processo d’inscurimento del “finto oro” della Maestà. Ha inoltre permesso di definire le condizioni ambientali più opportune per mitigare e rallentare l’avanzamento del viraggio di colore: esposizione del dipinto a un livello di umidità relativa percentuale non superiore a circa il 30% e mantenimento dell’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici sensibili alla luce.
Tale approccio metodologico potrà essere sfruttato con successo per esaminare, in futuro, altre opere d’arte eseguite con una tecnica analoga a quella del Cimabue e che soffrono di un simile inscurimento, così da ottimizzare le loro condizioni di conservazione.