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13 Gen 2023

Giocare con il suono

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Tra i vari possibili tipi di onde, quelle sonore sono state studiate fin dall’antichità. Non solo sono il fenomeno fisico forse più familiare all’uomo, ma contengono anche una grande quantità di aspetti suggestivi e si prestano a forme di sperimentazione semplice.

 

Cos’è il suono?

Qual è la natura del suono e perché differisce in modo basilare da altre forme di perturbazione ondosa, come ad esempio la luce? Il suono è un’onda meccanica nella quale le particelle del mezzo di propagazione si trasmettono per urti successivi con un moto oscillatorio, generato da una sorgente. Le onde che noi possiamo percepire come suono differiscono da altri tipi di onda meccanica perché il nostro orecchio, attivato dall’onda che incide sul timpano, è capace di innescare un segnale elettrico che a livello mentale induce una stimolazione, la sensazione sonora, appunto.
Tipicamente, la regione di frequenze udibili cade tra 20 e 20.000 Hz (ovvero pulsazioni al secondo). Ciò vale per l’uomo, giacché vi sono altre specie animali che riescono a percepire gli ultrasuoni (sopra i 20.000 Hz), come i cani o i pipistrelli, o invece gli infrasuoni (sotto 20 Hz), quali le balene.

 

Il suono descritto da Galileo Galilei

Una delle prime descrizioni del meccanismo di propagazione del suono in un mezzo è di Galileo. Dice il suo alter ego Salviati con riferimento a una corda musicale: “Toccata, la corda comincia e continua le sue vibrazioni per tutto il tempo che si sente durar la sua risonanza: queste vibrazioni fanno vibrare e tremare l’aria che gli è appresso, i cui tremori e increspamenti si distendono per grande spazio… Quest’ondeggiamento che si va distendendo per l’aria muove e fa vibrare non solamente le corde, ma qualsivoglia altro corpo disposto a tremare e a vibrarsi sotto quel tempo della tremante corda”, in particolare il timpano dell’ascoltatore.

 

Danni all’orecchio

Quando si gioca o si sperimenta col suono occorre tenere presente che suoni molto intensi possono danneggiare l’orecchio, specie se prolungati. Un’esposizione per un certo tempo a un livello di suono superiore a 90 decibel (dB) può dar luogo a una riduzione della sensibilità uditiva e sopra i 100 dB può causare una perdita permanente (il livello di un martello pneumatico a tre metri di distanza è sui 90 dB). Tale danno è associato alla distruzione delle celle ciliate interne alla coclea, quelle che convertono la vibrazione meccanica in un segnale elettrico diretto al cervello. Il danno è massimo sui 3000 Hz, frequenza di risonanza del canale uditivo.
L’orecchio ha una sua protezione, ossia un riflesso che corrisponde alla contrazione bilaterale del muscolo stapedio della staffa, con attenuazione della risposta se il suono è troppo forte. Il riflesso stapediano, però, richiede un certo tempo per attivarsi, ed è per questo che suoni di breve durata, come uno scoppio, sono assai pericolosi. Quando si sperimenta col suono, dunque, è consigliabile indossare delle cuffie o chiudere il canale uditivo con dei tappi o almeno dei batuffoli di cotone.

 

Un esperimento sull’interferenza

Per cominciare la sperimentazione, suggerisco allora un esperimento che mette in evidenza l’effetto di interferenza delle onde, valido per ogni tipo di moti oscillatori che si sovrappongono. Occorre munirsi di un tubo, come quello che si usa ad esempio in giardino. Si costruisce un sistema del tipo rappresentato in figura (tubo di Quincke), dove il suono emesso da un diapason – quindi a singola frequenza – viene prodotto all’imboccatura munita di imbuto. Dei due rami, uno è di lunghezza fissa, l’altro variabile, tipo trombone a coulisse. Allo sbocco si colloca l’orecchio o un microfono.

 

Si noterà che, al variare della lunghezza del ramo con coulisse, il suono presenta dei massimi e dei minimi di intensità. Si ha un massimo quando le due onde pervengono allo sbocco in fase tra loro – i massimi positivi delle due onde si trovano nella stessa posizione x, come mostrato nella figura seguente – il che si ha quando la differenza di cammino è uguale a un multiplo pari di mezze lunghezze d’onda. Si ha un minimo quando le due semionde, pervenendo nel punto x in opposizione di fase, si annullano a vicenda. Ciò avviene quando la differenza nei cammini è un multiplo dispari di mezze lunghezze d’onda.

 

    Conviene scegliere per il ramo fisso una lunghezza pari alla lunghezza stessa dell’onda  λ. Se il diapason è quello del la fondamentale (frequenza f = 440 Hz), essendo v = 343 m/s la velocità del suono, la lunghezza L del ramo fisso sarà L = λ = v/f = 0,78 m. Il ramo variabile può andare dalla metà al doppio di quello fisso. Dalla differenza di lunghezza del ramo a coulisse per passare da un massimo a un minimo di suono, il sistema permette di determinare uno qualsiasi dei parametri in gioco se gli altri sono conosciuti. Ad esempio, la velocità del suono in gas diversi, sostituendoli nel tubo al posto dell’aria.

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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