La sensazione visiva e uditiva è basata sull’elaborazione del logaritmo dello stimolo energetico ricevuto. Ciò fornisce agli esseri viventi il grande potere di percepire una vastissima gamma di luminosità e di sonorità, oltre ad avere fondamentali implicazioni sul nostro modo di costruire musica e di dipingere.
La legge di Fechner
Il fisico ottocentesco Gustav Theodor Fechner si dilettò a tempo perso anche di psicofisica, scienza prima di lui inesistente, che riguarda lo studio delle percezioni sensorie, udito, vista, ecc. Celebre è la legge che porta il suo nome: tra l’intensità di uno stimolo fisico (suono o luce che sia) e il minimo incremento percepibile dai nostri sensi sussiste un rapporto costante. Esempio: se di un dato suono siamo in grado di percepire un dato incremento minimo, ad esempio dell’1%, lo stesso vale per ogni altro suono della stessa frequenza. Ciò avviene appunto se la sensazione sonora è legata al logaritmo della potenza acustica dello stimolo energetico.
I suoni che percepiamo
Per essere più chiari, si supponga di avere una serie di suoni con potenza acustica che va dal limite per l’udibilità fino a 10 miliardi (1010) di volte tanto. Il livello sonoro percepito sale come il logaritmo in base dieci delle intensità (gli esponenti del 10). Un incremento della potenza acustica di 1000 = 103, dà luogo a una sensazione sonora soltanto tripla!
Come funziona la scala dei decibel?
Questa allora si esprime in dB (decibel), pari al logaritmo moltiplicato per 10. Ad esempio, un livello di 80 dB corrisponde al forte f di un’orchestra, laddove un suono cento volte più intenso (fortissimo fff) vale 100 dB, ossia soltanto 20 dB in più. Grazie alla risposta logaritmica, l’udito è in grado di spaziare su una gamma di intensità di 1010, cioè dal suono appena percettibile (20 dB, un sussurro) a quello che spinge l’orecchio alla sofferenza (120 dB, uno schianto di fulmine vicino). La figura in basso mostra la corrispondenza tra potenza acustica del suono in watt/m2 e il livello percepito in dB.
Luce e buio
Ciò che vale per il suono, si può dire anche della vista. Siamo in grado di vedere, all’estremo inferiore, un’intensità di pochi fotoni al secondo, pari all’emissione di una debole lampadina a 30 km di distanza (in condizioni di perfetta visibilità). All’altro estremo, un’intensità di migliaia di miliardi di fotoni al secondo, come quella di un filamento di lampadina posto a qualche centimetro dall’occhio; oppure quella del Sole stesso, purché velato quanto basta da non produrre danni irreversibili sulla retina. Questa straordinaria latitudine visiva ci permette, dopo opportuno adattamento, di vedere praticamente al buio, e d’altra parte di non venire abbacinati, se non feriti, quando siamo investiti da elevati flussi luminosi.
L’altezza del suono
Ma torniamo al suono, dove la legge del logaritmo la fa veramente da padrone. Anche la frequenza di un suono – quella che in musica ne definisce l’altezza – viene percepita logaritmicamente. Questo ci permette di sentire suoni che scendono fino a 20 Hz e all’altro limite arrivano a 20.000 Hz. E ciò, si noti bene, con un unico sensore fisiologico, costituito da timpano, catena degli ossicini, e coclea. E con un limitato numero di terminazioni nervose che mettono in collegamento quest’ultima con il cervello.
Una conseguenza è che gli intervalli tra due note musicali non vanno definiti in termini della differenza nelle loro frequenze, bensì del loro rapporto. Le note sulla tastiera del pianoforte non si susseguono quindi per intervalli di frequenza eguali, ma per rapporti di frequenza eguali, vale a dire per intervalli eguali dei logaritmi delle frequenze.
Esempio: il do centrale della tastiera di pianoforte – in scala naturale – ha una frequenza di 264 Hz e il la fondamentale vale 440 Hz. La separazione è 176 Hz, il rapporto 440/264 = 5/3. Due ottave più in alto troviamo che il do vale 264 × 4 = 1056 Hz, il la 440 × 4 = 1760 Hz, per una differenza di ben 704 Hz, ma sempre con rapporto 5/3!
Il lettore può arguire quali poderose implicazioni questa proprietà ha avuto e sempre avrà sul suono vocale e sulla musica: basti solo pensare alla riconoscibilità del parlato di una persona nel passaggio dall’infanzia alla maturità, quando l’apparato fonatorio, crescendo gradualmente di dimensioni, abbassa tutte le frequenze.