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22 Apr 2022

Il rompicapo della longitudine

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La misura precisa della longitudine in mare si è resa possibile solo dopo la metà del Settecento, in seguito alla costruzione, ad opera del falegname-orologiaio inglese John Harrison, di un orologio capace di dare l’ora corretta per lunghi intervalli di tempo e in condizioni ambientali avverse. Il problema era stato affrontato con scarsa fortuna da grandi fisici e astronomi, come Galileo, Cassini, Huygens, Newton e Halley.

 

Latitudine e longitudine nell’antichità

La latitudine, invece, non è mai stata un problema. Già gli antichi Greci sapevano che le stelle si mostrano a diversa altezza se ci si sposta lungo un meridiano. Preso come riferimento il polo Nord celeste, ossia il punto del cielo attorno al quale ruotano le stelle, la latitudine è semplicemente eguale alla sua altezza angolare sull’orizzonte (0° all’equatore e 90° ai poli). Nell’emisfero settentrionale, la Stella Polare era un buon riferimento di notte, mentre di giorno ci si basava sull’altezza del Sole a mezzodì, quando era nel punto più alto della sua traiettoria.
Ben altro era la misura della longitudine, per la quale il dato più significativo sarebbe stato la differenza di orario rispetto a un meridiano di riferimento, visto che per ogni grado di spostamento Est-Ovest si ha un ritardo di 4 minuti. Si trattava allora di misurare il tempo locale con un orologio solare installato a bordo della nave – a mezzogiorno le ombre hanno la minima lunghezza – e confrontarlo con il tempo segnato al porto di partenza, di longitudine conosciuta. Sapendo la longitudine di un luogo si risale a quella dell’altro.
Ma come fare tale misura in contemporanea, non avendo i segnali radio di cui disponiamo oggi? I Greci scelsero come tempo di riferimento, eguale per tutti, l’eclissi lunare. Il metodo era però utile soltanto sulla terraferma, in quanto le eclissi sono rare, così da non poterci far conto durante un viaggio in mare.

 

Il contributo di Galileo Galilei

Con Galileo Galilei si aprì un nuovo canale, quello offerto dalle eclissi dei quattro satelliti di Giove – Io, Callisto, Ganimede ed Europa, scoperti da Galileo nel 1610 – che a intervalli regolari, più volte nella notte, scompaiono dietro il grande pianeta. C’erano però almeno due inconvenienti:

1. non esistevano ancora tabulati precisi dei tempi delle eclissi nel luogo di riferimento, diciamo Greenwich;
2. i telescopi ai tempi di Galileo erano troppo rudimentali perché dei semplici marinai potessero usarli con profitto a bordo di navi soggette alle onde del mare.

Sulla terraferma, con veicoli immobili, le cose andarono meglio, anche se occorse attendere decine d’anni perché si rendessero disponibili – per merito dell’astronomo Cassini – i necessari tabulati.

 

Calcolare la longitudine in mare

    Stanti così le cose, la determinazione della longitudine in mare rimaneva, ancora nel Settecento, qualcosa di molto aleatorio, tanto che si ebbero celebri naufragi a causa di errori di valutazione. Storico fu l’affondamento, causato da una stima errata per qualche centinaio di chilometri, di una flotta inglese di quattro navi sugli scogli delle isole Scilly, in Cornovaglia. Era il 1707.

 

 

 

Questo evento e altri indussero il governo inglese a istituire un premio di 10.000 sterline a chi avesse inventato un metodo per la misura della longitudine con la precisione di un grado, e il doppio se la precisione fosse stata di mezzo grado. Un grado significa, all’equatore, una distanza di 110 km, meno alle latitudini europee.
    Il premio scatenò una gara piena di intrighi e scorrettezze, che vide coinvolti importanti scienziati, tra cui il discutibile reverendo Nevil Maskelyne, futuro astronomo reale.

 

L’orologio di John Harrison

Nel 1735 John Harrison, cresciuto in una bottega di falegname, produsse un orologio pesante 34 kg, passato alla storia come H1. Aveva delle parti in legno, studiate in modo che eventuali effetti dovuti alla temperatura o all’umidità si compensassero a vicenda.
In seguito, su un arco di quasi trent’anni, Harrison lo migliorò in vari modelli fino al magnifico H4 in ottone, il suo capolavoro, con un diametro di soli 12 cm e un peso di 1,3 kg. In un viaggio alle Barbados che Harrison fece nel 1764, questo esemplare funzionò a dovere, superando anche il fatidico mezzo grado di longitudine. Benché anche il navigatore James Cook lo avesse usato poco dopo con successo nella spedizione in Antartide, Harrison ricevette soltanto la metà del premio, in attesa di ulteriori prove di affidabilità.
Nel 1800, con l’arrivo del telegrafo, il problema fu risolto una volta per tutte, in mare in terra e in aria. Oggi la misura precisa della longitudine si fa con il GPS (Sistema di Posizionamento Globale), presente nei comuni cellulari, che può arrivare a distinguere, negli strumenti più sofisticati, una variazione di longitudine di un decimilionesimo di grado.

 

Immagine di copertina: Lo splendido orologio H4 di Harrison (copyright Tatters  from Brisbane, Australia- Wikimedia).

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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