La dispersione cromatica della luce bianca nello spettro dell’iride per mezzo di un prisma fu un risultato di Cartesio, perfezionato poi da Isaac Newton, ed è un fatto di quotidiana osservazione nei cristalli, nelle gocce d’acqua, nell’arcobaleno. In cosa consiste?
Perché vediamo “a colori”?
È noto che siamo capaci di visione a colori perché nella retina disponiamo di tre specie di fotorecettori, i coni, che vengono attivati rispettivamente dal rosso, dal verde e dal blu-violetto (detti colori primari additivi della visione).
Ogni componente cromatica della luce genera nei tre tipi di coni una propria stimolazione, generando una terna di segnali nervosi (ad esempio, un giallo vivace potrebbe dare tre livelli di stimolazione, nell’ordine del 44%, 47% e 9%). Si tratta del tristimolo, una codifica della radiazione luminosa grazie alla quale il cervello individua la radiazione e suscita in noi una particolare sensazione di colore. Il colore, perciò, non è un carattere inerente alla luce, ma nasce a livello fisiologico.
Immagini a colori
Usato all’inverso, questo meccanismo ha permesso la fotografia, la televisione a colori, e tanto altro. Lo schermo TV è costituito da una miriade di piccole isole, ciascuna costituita a sua volta da tre fosfori capaci di emettere il rosso, il verde e il blu in proporzione all’intensità dei rispettivi fascetti di elettroni che li vanno a colpire. L’occhio fonde insieme i tre segnali, facendoci percepire la corretta colorazione.
L’effetto può essere studiato a casa propria impiegando tre proiettori (ad es. tre torce elettriche), i cui fasci luminosi, dopo essere passati attraverso filtri colorati, vanno a sovrapporsi su una parete bianca. Se i tre fasci hanno circa le stesse intensità, nella zona di sovrapposizione tripla si ha il bianco e nelle zone di sovrapposizione doppia si ottengono il ciano e il magenta. Se invece le intensità dei tre fasci vengono variate, le zone di sovrapposizione possono assumere tutti i possibili colori, incluso il nero quando i tre fasci vengono estinti.
Sintesi additiva dei colori.
La luce bianca, o solare, è costituita da un’infinità di componenti cromatiche visibili, dal rosso cupo al violetto. Benché l’occhio sia in grado di distinguere un migliaio di tinte, nello spettro dell’iride si fa riferimento a sei famiglie principali: rosso, arancione, giallo, verde, blu e violetto, o al più sette, volendo introdurre un indaco, come fece Newton. Newton dipinse i colori in un disco: facendo ruotare il disco attorno a uno spillo passante per il suo centro, per la persistenza delle immagini sulla retina i colori si sovrappongono dando origine a un bianco grigiastro.
Il disco di Newton, detto anche di Maxwell.
Il prisma di Newton
L’esperimento è facile da riprodurre: basta disporre di un prisma di vetro e illuminarne una faccia con un fascio di luce bianca collimato (torcia elettrica). Su tale faccia va creata una fenditura – ad esempio tramite due cartoncini neri – in modo da restringere la luce entrante nel prisma a una sottile striscia.
Se tale accorgimento non viene adottato, il risultato è tutt’altro: l’estensione dell’area illuminata fa sì che sullo schermo si abbia una zona centrale di sovrapposizione di tutti i colori spettrali e di conseguenza una ricostituzione del bianco. Soltanto ai bordi ciò non può aver luogo, a causa della contiguità con le zone oscure, e dunque si osservano solo i due colori estremi. È istruttivo partire dalle condizioni corrette e poi allargare gradualmente la fenditura fino a raggiungere l’errata figura di Goethe.
Dispersione della luce bianca nell’esperienza di Newton. In alto a destra l’errore di Goethe.
La teoria dei colori di Goethe
Un secolo più tardi, infatti, Wolfgang Goethe ripeté, maldestramente, l’esperienza di Newton. Era poeta e scrittore, ma anche ingegnere e studioso di scienze naturali. Omise l’impiego dei cartoncini neri e non riuscì quindi a ottenere il risultato corretto, asserendo che Newton aveva sbagliato, se non addirittura truccato i dati.
La visione romantica, che spiegava la realtà come il risultato di un contrasto di poli opposti, spinse Goethe a dire che i colori traevano origine dalla contrapposizione luce-oscurità agli estremi della zona illuminata e quindi comparivano soltanto lì. Riecheggia in questa concezione il motto della corrente Sturm und Drang: «La scienza è falsa e la poesia la vera conoscenza dell’Universo». Malgrado l’ingenuità della visione di Goethe, tipica di chi ignora le finezze della scienza, c’è ancora oggi chi ama appellarsi al suo modello.
Il prisma d’acqua
Errori di Goethe a parte, vale la pena cimentarsi nell’esperimento, perché è fonte di sorprendenti rivelazioni che lascio scoprire ai lettori. Se non si dovesse reperire un prisma, si può realizzarne uno tramite una scatola triangolare di plexiglass riempita d’acqua, la quale si comporta in modo simile al vetro.