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01 Ago 2024

La transizione imperfetta

Nicola Armaroli

Nicola Armaroli
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La crisi climatica ci prende continuamente a schiaffi e questo, a sua volta, alimenta la discussione sull’urgenza e i modi della transizione energetica. In un quadro di crescente confusione culturale e mediatica, vi sono persone che, anche partendo da buone intenzioni, denunciano la devastazione territoriale degli impianti di produzione elettrica rinnovabile, in particolare eolico e fotovoltaico (FV).

 

L’eolico e il fotovoltaico

Per provare a ragionare, occorre cominciare dai fatti più “scomodi”. Se vogliamo fare la transizione energetica occorrono, in tutto il mondo, decine di migliaia di pale eoliche. Sarebbe bello poterle piantare nella paglia o nel legno, ma non si può: occorre piantarle nel cemento. Allo stesso modo, sarebbe fantastico utilizzare solo i tetti per installare pannelli fotovoltaici, ma questioni pratiche ed economiche obbligano anche la realizzazione di impianti di grande taglia a terra. Ancora, la transizione energetica mondiale costerà decine di trilioni di euro. Sarebbe meraviglioso se potessimo farla con un modello partecipativo dal basso, dove questa montagna di soldi fosse integralmente investita da cittadini istruiti, consapevoli e benestanti, o fosse tutta denaro pubblico elargito da governi saggi e lungimiranti.

Se vogliamo rimanere nel mondo reale, però, dobbiamo accettare il fatto che le rinnovabili decollano se intervengono anche grandi investitori, come in realtà sta già accadendo. Questo grandissimo affare attirerà speculatori di ogni sorta, lestofanti e mafiosi? Sicuramente, ed è una questione che attiene a regole, controlli, polizia e magistratura. Il sistema sanitario è soggetto a identici rischi, ma non per questo merita di essere demolito.

 

Facciamo un pò di conti

Posti alcuni presupposti base per realizzare una transizione reale e non di fantasia, passiamo a qualche numero. Nel 2023 il FV ha fornito il 12% della produzione elettrica italiana, l’eolico il 9,1%. Il primo ha occupato 164 km2 di terreni, pari allo 0,05% del territorio nazionale: la maggioranza degli impianti sono sui tetti. Il secondo occupa 10 volte meno superficie a terra a parità di produzione, quindi, per questo aspetto, i numeri sono marginali. L’eolico ha invece un problema di occupazione di “spazio visivo”, un tema che va discusso e condiviso con le comunità locali. Uno scenario 100% (!) rinnovabile al 2050 (fra 25 anni!) presentato di recente, stima che eolico e FV dovrebbero fornire 450 TWh (consumo totale italiano 2023: 306 TWh) occupando lo 0,8% del territorio nazionale, meno di 2500 km2.

Per capire di cosa stiamo parlando, oggi in Italia ci sono 9000 km2 di siti industriali dismessi e 35 000 km2 di terreni inutilizzati o incolti. È quindi lampante che il dramma del consumo di suolo da eolico e FV non esiste. Ed è anche avvilente che in Italia ci impuntiamo ogni volta a voler inventare la ruota: in diversi Paesi europei l’eolico è cresciuto enormemente, senza devastazioni ambientali o rivolte sociali. Proviamo a studiare come hanno fatto?

 

Le rinnovabili

Anche l’idea che le rinnovabili siano una ferita incancellabile al suolo è infondata. Il fotovoltaico occupa suolo, non consuma suolo come un capannone di cemento. Il terreno resta permeabile, l’impianto si può smontare e installare altrove. C’è anche l’agrivoltaico, che permette sia la coltivazione che la produzione agricola. Diversi studi scientifici mostrano che gli impianti FV a terra possono avere effetti rigenerativi: il suolo resta indisturbato e l’area, esente dall’uso di pesticidi, può diventare uno spot di biodiversità, di cui beneficiano i terreni circostanti. Non è un dettaglio perché, sempre nel mondo reale, l’agricoltura non è basata su pratiche da documentario naturalistico.

La transizione energetica sarà perfetta come vorremmo? Sicuramente no. Ma attaccare le rinnovabili senza fondamenti numerici o vagheggiando mondi perfetti è il modo migliore per distruggerne l’accettabilità sociale, nel sommesso tripudio dei difensori dello status quo e dei combustibili fossili.

La minaccia esiziale al suolo e alle biodiversità è il cambiamento climatico, non le pale e i pannelli. Ma alcuni “ambientalisti” sembrano non voler capire.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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