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26 Ott 2023

Il limite di Sultan e quello di Treadwell

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Una delle domande che ha intrigato i pensatori di ogni latitudine e di ogni tempo credo sia quella del confine che fa di noi Sapiens ciò che siamo e ci distingue dalle altre specie animali (anche noi, per quanto ci appaia strano dalla nostra prospettiva antropocentrica, lo siamo). Dov’è il confine? Qual è lo spartiacque che fa di noi un’eccezione?

Ripercorrere qui la storia di questa idea, le teorie – spesso di supremazia dei Sapiens sulle altre specie – che si sono avvicendate su questa storia, sarebbe impresa improba. Si dovrebbe partire dalle Sacre Scritture e poi arrivare fino a Darwin, passando per Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau e le loro concezioni dello “stato di natura”.

 

Sultan e gli esperimenti cognitivi

Saltiamo a piè pari – consapevoli di ciò che stiamo omettendo – per arrivare a quanto descritto dall’etologo Danilo Mainardi nel suo libro, L’animale culturale, pubblicato nel 1975. Una breve ma non troppo accurata descrizione degli argomenti del volume si trova in un lungo post del blog di Alfonso Lucifredi.

Tra le varie storie narrate nel libro, si racconta anche quella dello scimpanzé Sultan su cui lo scienziato russo G.F. Khrustov aveva compiuto esperimenti cognitivi, chiedendo all’animale di risolvere problemi di difficoltà sempre crescente, la cui soluzione costituiva il premio in cibo. Inizialmente a Sultan venne fornito un bastone utilizzato per raccogliere il cibo contenuto all’interno di un tubo. Il passo successivo fu quello di privare lo scimpanzè del bastone, in modo da renderlo capace di ricavare uno strumento adatto da altri oggetti, al fine di ottenere ugualmente il premio. Mostrando le sue doti non indifferenti, Sultan fu in grado di ricavare un palo da blocchi di legno di varie forme anche se, almeno apparentemente, non permettevano in alcun modo di immaginare un futuro utilizzo per lo scopo, come ad esempio da un pezzo di legno di forma circolare.

Gli esperimenti però raggiunsero presto il limite delle pur brillanti capacità di Sultan: gli venne offerto un disco di quercia, inattaccabile da unghie e denti, insieme a una rudimentale ascia di pietra. Lo scimpanzé non riuscì mai a capire il nesso tra il secondo oggetto e il suo arnese potenziale. Si intestardì, si arrabbiò e provò in tutti i modi, ma non ne venne a capo, neanche quando gli venne mostrata direttamente la “soluzione” del problema. Sultan sembrava quindi non essere in grado di arrivare al concetto di utilizzo di un arnese (l’ascia) per creare ciò che gli sarebbe servito allo scopo.

La domanda sorge spontanea: è esattamente qui la differenza fondamentale nella cultura delle scimmie antropomorfe rispetto all’uomo? L’autore del post, a commento, giustamente ci mette in guardia: «Difficile stabilirlo, in fondo si trattava comunque di un unico esemplare di un’unica specie, forse il limite di Sultan non è il limite di un altro scimpanzé o di un’altra scimmia, o di un altro animale. Rimane il fatto di un dato oggettivo estremamente interessante, condiviso anche dal grande paleoantropologo Phillip Vallentine Tobias, che ha supposto che un nostro stesso progenitore, l’australopiteco, si sia fermato al livello di fare l’arnese per fare l’arnese, e non sia riuscito a spingersi oltre».

 

Il concetto di limite

Insomma, pur rimanendo all’erta sul pericolo di facili generalizzazioni, a noi quel che qui interessa è il concetto di limite, che pur frastagliato, eterogeneo da specie a specie, innegabilmente esiste.

Un limite che in questo caso va dall’animale verso l’umano e che ha suscitato, come era del resto prevedibile, l’interesse anche di cineasti del calibro di Stanley Kubrick. Il regista, qualcuno lo ricorderà, nel primo degli episodi del film cult 2001: Odissea nello spazio – intitolato significativamente L’alba dell’uomo – colma il fossato che divide i primati a noi più prossimi da quelli che poi lungo l’evoluzione diventeranno Sapiens, sostanzialmente grazie alla comparsa del Monolito, il misterioso oggetto “protagonista occulto” del film, che rende questo branco di uomini-scimmia in grado di comprendere come usare, in modo rudimentale, ossa come strumenti per offendere e difendersi.

Questo comportamento in sostanza accende, per dir così, la scintilla evolutiva che fa di noi ciò che siamo e corrobora l’affermazione dello storico della scienza Oren Harman secondo cui «gli uomini sono abituati a pensare di aver creato la tecnologia, mentre è stata la tecnologia a creare loro».

 

Tornare allo “stato di natura”

Ma il limite che con Sultan abbiamo visto invalicabile sembra non potersi valicare neppure in senso inverso, ovvero quando qualcuno dei Sapiens si mette in testa di tornare allo “stato di natura”, qualunque sia il significato che vogliamo dare oggi a questa espressione.

Qualcuno ci ha provato. Tra questi Timothy Treadwell, ambientalista e documentarista statunitense che decise di “vivere con gli orsi” (grizzly) nel Parco nazionale e riserva di Katmai, istituito in una regione desertica nella parte sud dell’Alaska. Ci riuscì per tredici estati consecutive sostanzialmente campeggiando in un’area del Parco che gli orsi consideravano loro territorio. Si integrò bene, ma poi accadde il tragico “imprevisto”. Le virgolette sono d’obbligo perché era un imprevisto prevedibile: un gruppo di nuovi orsi, per altro particolarmente feroci e affamati a causa del cambiamento climatico che in quelle zone già cominciava a farsi sentire, pare fosse migrato nella zona in cui Treadwell campeggiava con la fidanzata.

Un giorno, anzi una notte, accadde il peggio: Treadwell tentò invano una delle tattiche che aveva messo a punto per “dialogare” con gli orsi “amici” quando scorgeva in essi atteggiamenti aggressivi, ma non funzionò. Venne attaccato e la fidanzata – che egli incitò a scappare capendo che per lui non c’era più nulla da fare – non lo abbandonò e cercò di combattere a sua volta, ma non essendo, per scelta, armati (se non di pentole e stoviglie) nulla poterono contro l’orso. Anche di lei trovarono, nei giorni successivi, solo dei resti.

Un altro celebre regista, Werner Herzog, si interessò della vicenda e ne fece un docufilm, Grizzly Man, uscito nel 2005.

L’altro singolare personaggio, divenuto a sua volta celebre, che però non ebbe miglior sorte di Treadwell, fu Christopher McCandless, la cui storia viene narrata nel libro Nelle terre estreme, e nel film Into the Wild.

Se è vero, come è vero, che i Sapiens hanno ormai invaso completamente la Terra, lasciando pochissimo spazio alla vita selvaggia, queste storie forse suggeriscono che, in alcuni casi, è meglio che ognuno stia “a casa propria”.

 

Immagine di copertina: wirestock – Freepick

Luciano Celi
Luciano Celi
Luciano Celi ha conseguito una laurea in Filosofia della Scienza, un master in giornalismo scientifico presso la SISSA di Trieste e un secondo master di I livello in tecnologie internet. Prima di vincere il concorso all'Istituto per i Processi Chimico-Fisici al CNR di Pisa, ha fondato con Daniele Gouthier una piccola casa editrice di divulgazione scientifica. Nel quinquennio 2012-2016 ha coordinato il comitato «Areaperta» (http://www.areaperta.pi.cnr.it), che si occupa delle iniziative di divulgazione scientifica per l'Area della Ricerca di Pisa ed è autore, insieme ad Anna Vaccarelli, della trasmissione radio «Aula 40» (http://radioaula40.cnr.it/). Nel giugno 2019 ha discusso la tesi di dottorato in Ingegneria Energetica.
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