«Non esistono quantità sicure di consumo di alcolici». Si apre così un articolo pubblicato sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità che riassume una lunga e articolata scheda dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella quale si chiede di implementare migliori misure di prevenzione e di comunicazione riguardo ai rischi oncologici legati all’assunzione di alcol. Come si può leggere nel documento dell’OMS, nel 2018, nella sola Europa, 4,2 milioni di persone hanno sviluppato un cancro, di cui il 4,3% (pari a 180.000 casi) correlato a un consumo anche moderato di alcol. Maggiore è il consumo, maggiore è il rischio di sviluppare un tumore dell’apparato digerente – dalla bocca al colon-retto – e, per le donne, anche al seno.
Il voto del Parlamento Europeo
In risposta a questa sollecitazione, la commissione speciale del Parlamento Europeo sulla lotta contro il cancro (BECA) ha inserito le indicazioni dell’OMS nelle sue raccomandazioni finali. Il testo di questo piano è arrivato sui banchi del Parlamento Europeo a fine 2021, scatenando le reazioni del mondo politico italiano, che si è subito adoperato per mitigare l’impatto del piano europeo sulla percezione del rischio legata al consumo di alcolici. Con i loro emendamenti, i parlamentari italiani hanno proposto di anteporre la parola “dannoso” alla dicitura “consumo di alcol”, evitando così i riferimenti al cancro nelle etichette. A febbraio 2022, il Parlamento Europeo ha votato a favore di questi emendamenti. Il fine è evidente: si vuole evitare che il consumo moderato di alcolici sia associato all’idea di rischio oncologico. Purtroppo le evidenze scientifiche raccolte dall’OMS raccontano una storia diversa: l’assunzione di qualsiasi quantitativo di alcol innalza il rischio di sviluppare un tumore.
L’alcol fa male?
Davanti a questo doppio racconto, il consumatore può allora porsi una legittima domanda: l’alcol fa male o no?
Se parliamo di una serata di importanti festeggiamenti con un corposo consumo di alcol, si può prendere in considerazione la cosiddetta dose letale 50 (DL50), il parametro che meglio descrive la tossicità acuta. La DL50 rappresenta, infatti, la quantità di una sostanza – nel nostro caso l’alcol alla festa – che uccide il 50% di una popolazione di cavie che la ingeriscono. Questo numero è piuttosto alto: una persona di 80 kg dovrebbe assumere 800 g di alcol per avere il 50% di possibilità di morire per intossicazione acuta: è il corrispettivo di diversi litri di vino bevuti in un sorso.
Per i rischi sul lungo periodo, però, un dato così immediato, semplice e affidabile non esiste. Ci si potrebbe riferire alla dose giornaliera accettabile (DGA), ma questo valore cambia da nazione a nazione ed è calcolato sulla base di una tecnica empirica. Non c’è quel consenso scientifico necessario per utilizzarlo come indicatore del livello di tossicità cronica. Bisogna quindi affidarsi all’epidemiologia, disciplina che sfrutta i metodi statistici per studiare le relazioni di causa-effetto tra malattie e comportamenti umani. Qui le cose si complicano: alcuni rischi, come quello delle malattie cardiovascolari, si riducono assumendo al massimo 25 g al giorno di alcol, pari a due bicchieri di vino. Altri rischi, invece, aumentano a prescindere da quanto alcol si ingerisca, come si legge in uno studio del 2004 che ha revisionato 156 articoli scientifici. Si aggiunge allora un nuovo tipo di complessità: la risposta alla domanda del consumatore dipende dal contesto ma anche dalla patologia di cui si vuole discutere.
Meno si beve e meglio è
Riferendosi al rischio sul lungo periodo correlato ai tumori (ma anche ai danni cerebrali), in conclusione, la risposta alla domanda del consumatore è chiara: meno alcol si beve e meglio è. Una risposta, questa, che va però inserita nel giusto contesto, affinché il consumatore sia consapevole dei rischi e possa decidere quali accettare e quali, all’opposto, evitare.
In tal senso anche l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), che sul proprio sito riporta la frase “chi beve una piccola quantità di alcol nella vita o fuma una sola sigaretta non vede crescere il proprio rischio oncologico in modo misurabile” mi ha confermato che, alla luce delle moderne conoscenze, questa frase è fuorviante e sarà oggetto di revisione in futuro.