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06 Ott 2023

Il gioco (molesto) delle orche

Andrea Pelfini

Andrea Pelfini
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La superficie del mare dei Salish, nel Nord dell’oceano Pacifico, tra lo Stato di Washington e la British Columbia, è calma e azzurra. Un attimo prima è una distesa di piccole onde che increspano appena l’acqua, un attimo dopo è un’esplosione violenta di schizzi e schiuma bianca. Dal profondo dell’oceano un’orca emerge, ma non è sola. Il grosso cetaceo, infatti, stringe in bocca una focena, una sorta di piccolo delfino. Subito lo lascia e inizia a farlo rimbalzare tra la propria testa e il dorso, neanche fosse Maradona quando, il 19 aprile 1989, prima della semifinale di Coppa UEFA contro il Bayern Monaco iniziò a palleggiare in mezzo al campo, durante il riscaldamento, sulle note di Live Is Life del gruppo austriaco degli Opus.

In questa porzione di oceano Pacifico non è raro assistere a scene del genere, tanto da aver attirato l’attenzione di un nutrito gruppo di ricercatori che, guidati da Deborah Giles dell’associazione conservazionistica Wild Orca, ha provato a comprendere meglio il fenomeno: i loro risultati sono stati pubblicati in un paper sulla rivista Marine Mammal Science.

 

La cultura delle orche

Le orche sono tra gli animali più “culturali” che esistano. Siamo soliti parlare di cultura e trasmissione culturale tra gli esseri umani, giustamente, ma anche nel mondo animale sempre più evidenze stanno mettendo in luce come la cultura sia qualcosa di diffuso e non esclusiva nostra. Le orche, infatti, presentano una varietà di comportamenti in grado di differenziare i vari gruppi, spesso anche molto vicini tra loro.

Questo specifico gruppo di orche che si diletta nel giocare con le focene, per esempio, è relativamente piccolo: composto da circa 75 esemplari, è suddiviso in tre sottogruppi familiari, chiamati pod, e si nutre solo di salmoni Chinook, non di mammiferi, come invece avviene per altri gruppi che abitano sempre in quelle acque. Le orche, cioè, si specializzano nella caccia a determinate prede in base al gruppo di appartenenza: ci sarà quindi, come in questo caso, chi si nutre di pesce, chi di foche, chi di cetacei. Chi vive in mare aperto e chi più vicino alla costa. In Sudafrica, un gruppo ristretto si è addirittura specializzato nella caccia allo squalo bianco.

Perché questo è importante? Perché le orche che sono state viste giocare con le focene – anche se sarebbe meglio dire “molestarle” – si nutrono solo ed esclusivamente di pesce, in particolare di salmoni, non si tratta quindi di un atto predatorio. Durante queste interazioni capita, a volte, che le focene muoiano, ma mai sono consumate dalle orche, che rimangono fedeli al pasto di salmone, anche con un potenziale nutrimento gratis a disposizione. Tra il 1962 e il 2020, sono stati collezionati 78 casi di questo genere di interazione, con 28 di essi finiti con la morte della focena.

Perché, allora, questo comportamento delle orche? Un comportamento, è bene ribadirlo, solo esclusivo di questo gruppo di 75 individui?

 

Tre ipotesi per un solo comportamento

I ricercatori hanno avanzato tre ipotesi, sebbene non vi sia alcuna certezza o prova che riesca a dirimere la faccenda in modo incontrovertibile.

  • Gioco sociale: le orche sono animali molto intelligenti e possono dedicarsi ad attività che trovano, banalmente, divertenti, senza alcuno scopo reale. Il gioco, inoltre, può avere benefici effetti sulla coordinazione del gruppo o sul cementare i rapporti tra gli individui del pod, svolgendo quindi un fondamentale ruolo sociale.
  • Pratica di caccia: cacciare grossi e veloci salmoni è tutt’altro che facile, in particolare per gli individui più giovani. Come in tutte le cose, e la caccia non fa eccezione, bisogna fare molta pratica prima di diventare esperti. Esercitarsi con le focene, i cui cuccioli e neonati hanno dimensioni molto simili a un salmone adulto, può essere un ottimo training. Un indizio proviene dall’età delle focene vittime di questo comportamento: l’80% sono, appunto, neonati o cuccioli.
  • Impulso epimeletico: una parola difficile, ma dal significato semplice, ovvero l’impulso a prendersi cura dei cuccioli altrui, della propria specie o no. Sono infiniti gli esempi in natura di questo comportamento, messo in evidenza addirittura da Konrad Lorenz. Il successo riproduttivo di questo gruppo di orche è legato alla presenza e abbondanza di salmoni, altra specie non proprio in salute, tanto che, hanno stimato Giles e colleghi, il 70% dei parti e delle nascite di orche in questi pod fallisce. Nel 2018, una madre tenne accanto a sé il neonato morto per 17 giorni e 1600 chilometri, facendo sospettare, quindi, una spiccata propensione al comportamento epimeletico delle orche come possibile causa dell’interazione con le focene, forse percepite come malate o in difficoltà.

«Mi viene spesso chiesto perché queste orche non mangiano foche o focene» dice Deborah Giles. «Il motivo è che le orche che mangiano pesce hanno un’ecologia e cultura completamente differenti dalle orche che mangiano mammiferi marini, nonostante le due popolazioni abitino nelle stesse acque. Quindi dobbiamo concludere che le loro interazioni con le focene abbiano uno scopo diverso, scopo che al momento, però, è solo frutto di speculazione».

 

Trasmissione culturale

Ciò che è certo, in conclusione, è la capacità di trasmissione culturale in questa specie, cosa che lo studio di Giles e colleghi mette bene in evidenza. La popolazione di 75 orche studiata, come detto, è a sua volta suddivisa in tre pod, tre sottogruppi. All’inizio dell’osservazione di questo comportamento, negli anni ’60, solo uno dei tre sottogruppi interagiva con le focene. Con il passare del tempo, non solo questo fenomeno è stato tramandato all’interno del sottogruppo stesso, di madre in figlio, ma si è poi diffuso anche agli altri due pod, probabilmente tramite le interazioni tra membri di pod diversi.

Insomma, cultura, cultura e ancora cultura, capace di rendere questi straordinari abitanti dei mari ancora più affascinanti, se mai ce ne fosse bisogno.

Andrea Pelfini
Andrea Pelfini
Ha studiato medicina, scienze politiche e scienze cognitive all’Università del Piemonte Orientale e all’Università degli Studi di Milano. Appassionato di saggistica e divulgazione scientifica, ha frequentato il master in comunicazione della fauna, dell’ambiente e del paesaggio dell’Università Insubria di Varese. Da molti anni alleva api, lavora come redattore di enigmistica, è tra i soci fondatori della società di comunicazione ambientale Ecozoica e racconta storie di natura e scienza sulla pagina Facebook “Storie di natura, scienza e bellezza”.
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