Sapere Scienza

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Non cambiare nel corso di centinaia di anni. È ciò che è riuscito a fare un virus nascosto in un corpo trattato per esistere per sempre. Se siete curiosi di scoprire di cosa sto parlando, continuate a leggere il post di oggi.

 

Poche settimane fa, sulla rivista scientifica Plos Pathogens, è stato pubblicato uno studio di paleopatologia riguardante una delle mummie conservate nella Basilica di San Domenico Maggiore, a Napoli. Nella sacrestia di questa chiesa monumentale, costruita nel XIII secolo - casa dei domenicani e luogo di culto eletto per la nobiltà aragonese - sono conservate 38 casse in legno contenenti le spoglie di dieci re e principi aragonesi e di altri membri della nobiltà partenopea, tutti deceduti tra la seconda metà del XV e la fine del XVI secolo. I sarcofagi, decorati con sete, broccati o altri tessuti di pregio, proteggevano corpi quasi tutti mummificati.

 

Chiesa di San Domenico Maggiore Napoli

 

Basilica di San Domenico Maggiore, Napoli. Fonte: IlSistemone (Own work) [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons

 

Questi corpi imbalsamati sono un vero e proprio tesoro di informazioni per gli studiosi di malattie del passato che , già negli anni ’80, poterono confrontare i reperti con i dati storici, particolarmente ricchi in quanto si trattava di personaggi storici di cui si conosceva in maniera dettagliata vita e morte. In quella sede non furono svolte, però, indagini che comprendessero le analisi del DNA, esame svolto questa volta dal gruppo di ricerca canadese della McMaster University che è stato testimone di una scoperta straordinaria che ha ribaltato i risultati ottenuti in precedenza.

 

La mummia in questione apparteneva a un bambino di 2 anni, deceduto intorno alla metà del XVI secolo. Nella prima analisi si pensò che la malattia che doveva essere stata fatale per il piccolo dovesse essere il vaiolo: i resti mostravano segni di eruzioni cutanee che sembravano riconducibili a questa terribile patologia, fortunatamente debellata grazie al vaccino. Procedendo al sequenziamento genomico, però, sono emersi nuovi dettagli.

 

L’analisi di frammenti di pelle e ossa prelevati durante le prime campagne di campionamento e poi conservati in contenitori sterili, hanno mostrato la presenza dell’epatite B (HBV) e non del temibile vaiolo. E la reazione cutanea? Probabilmente era una forma di dermatite, la sindrome Giannotti-Crosti, una reazione della pelle a infezioni virali, proprio come l’epatite. Non è tutto. L’analisi genetica del virus ha rivelato che l’HBV, al contrario di tanti altri virus (basti pensare a quello dell’influenza), non è cambiato molto in 450 anni: il ceppo antico e quello recente sono simili e non è stato possibile comprenderne la sua, forse, complessa evoluzione.

 

Hendrick Poinar, a capo del team di ricerca che ha condotto lo studio, ha spiegato con molta chiarezza a cosa serve la paleopatologia proprio in occasione di questa pubblicazione: “Più sappiamo sul comportamento delle pandemie ed epidemie del passato e meglio possiamo comprendere come si comportano i virus e batteri oggi, per cercare di controllarli”.

 

In questo caso, però, un’evoluzione del virus non è stata osservabile, come tutti ci saremmo aspettati. Il progresso può passare anche attraverso ciò che rimane immutato: una mummia – un corpo che dovrebbe superare i capricci del tempo modificandosi il meno possibile- affetta da un virus che sembra essere rimasto sempre lo stesso.

 

Credits: Patterson Ross Z, Klunk J, Fornaciari G, Giuffra V, Duchêne S, Duggan AT, et al. (2018) The paradox of HBV evolution as revealed from a 16th century mummy. PLoS Pathog 14(1): e1006750. https://doi.org/10.1371/journal.ppat.1006750

Alessia Colaianni

Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.

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