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11 Apr 2024

La fiducia nella comunità scientifica: un patrimonio da non sprecare

Riccardo Lucentini
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Pubblicati i risultati del Trust Barometer, un sondaggio organizzato dall’agenzia Edelman sul rapporto innovazione-società. Ha raggiunto un campione di oltre 32 000 persone sparse in 28 Paesi che hanno risposto a domande sulla fiducia nell’innovazione tecnologica, in chi la implementa e in chi la regola. La mole di dati fornita è talmente ampia da poter riempire pagine e pagine con considerazioni, manifesti d’intenzione e azioni da mettere in pratica. Procediamo con ordine.

 

La fine del principio di autorità

La popolazione si fida della comunità scientifica: per il 75% degli intervistati, uno/a scienziato/a dice la verità quando parla di innovazioni e di tecnologie moderne e un numero simile di persone ritiene che dovrebbe essere la comunità scientifica a guidare l’introduzione di nuove tecnologie nella vita quotidiana. È un attestato di stima da non sottovalutare e da preservare, perché realtà istituzionali come i governi e le organizzazioni non governative (ONG) non godono di altrettanta fiducia: per gli intervistati le istituzioni non sono in grado di capire le tecnologie emergenti per regolamentarle con efficacia.

Alla comunità scientifica è richiesto uno sforzo che va oltre l’invenzione e il lavoro di laboratorio: la società accetta l’innovazione se esiste a monte un’attenta valutazione etica e percepisce che la nuova tecnologia avrà un ruolo nel migliorare le condizioni di vita. La comunità scientifica è sempre più sottoposta al vaglio della società: il dialogo alla pari è condizione necessaria per tenere testa a questo attento scrutinio, perché il pubblico chiede di essere trattato come parte attiva nella costruzione di conoscenza e di innovazione. Inoltre essa è chiamata a vedere il proprio pubblico come stakeholder con capacità decisionali e con influenza sull’attività di ricerca: in questo senso il sondaggio è la pietra tombale al deficit model, secondo cui la fiducia nella scienza migliora grazie alla semplice trasmissione di nozioni verso persone che ricevono passivamente il contenuto scientifico. Non ha mai realmente funzionato, non funziona a maggior ragione oggi. Il pubblico chiede agli scienziati di stare alla pari e ne riconosce l’autorità sulla base della comunicabilità invece che sulla base di titoli, esperienza e pubblicazioni.

Le parole chiave per avere un dialogo alla pari efficace sono trasparenza e accessibilità: il 45% degli intervistati non è d’accordo con l’affermazione: «Gli scienziati non sanno come comunicare con una persona come me». È una percentuale alta ma non altissima, che fornisce margini di miglioramento e anche una solida base su cui lavorare. La comunicazione non può più essere unidirezionale, infatti l’azione cruciale da intraprendere è l’ascolto: oltre l’80% degli intervistati chiede ad ogni attore coinvolto in ricerca e innovazione di “ascoltare le nostre preoccupazioni, lasciarci fare domande”. Il rispetto per dubbi deve essere massimo perché, se non vengono ascoltati e risolti, le persone tenderanno a fare ricerche in autonomia e a porre la propria fiducia da un’altra parte. E questa “altra parte” espone a enormi rischi.

 

La fiducia nei “pari”

Al secondo posto tra coloro ritenuti affidabili, infatti, ci sono i “peers”, termine inglese di difficile traduzione che identifica quelle persone ritenute simili per valori, esperienze, estrazione sociale, inclinazioni politiche e altro.

Il 75% degli intervistati ritiene che un proprio “pari” dica la verità su innovazioni e nuova tecnologia. Dietro a questa risposta si cela la trappola dei bias cognitivi, ovvero quei processi mentali di valutazione distorta causati da pregiudizi: un essere umano interpreta la realtà prendendo scorciatoie mentali che permettono decisioni rapide e in linea con i propri valori e credenze. Ecco allora che una persona ritiene affidabile chi propone una visione dell’innovazione simile alla propria, esponendo gli argomenti con un linguaggio familiare e descrivendo situazioni in cui è facile immedesimarsi.

Questa dinamica, che può far inorridire coloro che hanno speso tempo ed energie per ottenere titoli e risultati in campo scientifico, è ormai una regola del gioco contro cui non ha senso combattere. Sarebbe come iniziare una partita di calcio e pretendere di non applicare il fuorigioco. Per un outreach ben strutturato e un’accettazione tecnologia rapida e diffusa è necessario gestire i propri pubblici con serietà, accettando dubbi e domande con rispetto e, soprattutto, senza paternalismo.

 

Successi e fallimenti

Il Trust Barometer riporta anche ricadute pratiche di quanto descritto, analizzando i casi di una innovazione che ha fallito e di una che invece sta ottenendo il favore della popolazione. L’agenzia Edelman propone un confronto che può sembrare azzardato: cibo ed energia vivono in contesti molto diversi tra loro, soprattutto per la popolazione non coinvolta nella loro produzione. Il cibo porta con sé valori legati a tradizioni, religioni e rappresenta il catalizzatore di incontri a elevato valore aggiunto; quanti di noi hanno firmato contratti e scelto il partner per la vita a tavola?

La produzione di energia elettrica ha invece un carico valoriale meno impattante, legato ad abitudini che già stanno cambiando. Nella costruzione del Trust Barometer, gli autori hanno tenuto conto di contesti così diversi e hanno concentrato l’attenzione su alcune dinamiche che condizionano l’accettazione tecnologica sia del cibo da OGM sia dell’energia da fonti non fossili.

La percezione sul cibo da OGM, che da decenni è oggetto di dibattiti pubblici e politici, ha ormai raggiunto un punto di non ritorno: per gli intervistati è mal gestito dai governi, poco vagliato sul piano etico e imposto dall’alto. Quest’ultimo punto è fondamentale: per accettare un’innovazione, la popolazione deve percepire di avere il controllo su di essa e sui suoi effetti nella vita quotidiana. Gli intervistati accolgono a braccia aperte l’energia da fonti non fossili perché le affidano molte speranze per il futuro, sentono di averne il controllo e la considerano adeguatamente regolata dagli enti preposti.

 

Quattro tecnologie e la loro accettazione a confronto (© Edelman).

 

Tante altre innovazioni tecnologiche sono pronte a uscire dai laboratori e dovremo accompagnarle con sapienza lungo un percorso articolato e accidentato. Per farlo, è necessaria una comunità scientifica attenta a non cadere negli errori nel passato: il lavoro di ricerca nelle scienze “dure” non può più prescindere da una stretta collaborazione con le scienze sociali, che studiano i pubblici e hanno chiari i sentimenti di accettazione o rifiuto verso una determinata tecnologia. Istituti e organizzazioni di ricerca che per primi si doteranno di personale, strumenti e fondi dedicati alla comunicazione e all’outreach avranno le maggiori chance di vedere le proprie tecnologie riconosciute e adottate da ampie fette di popolazione. Tirarsi indietro non è più un’opzione percorribile.

Riccardo Lucentini
È nato a Foligno nel 1989 e si è laureato in Chimica nel 2013. Dopo alcuni anni passati a fare il topo di laboratorio, si impegna a divulgare la sua materia tramite laboratori e conferenze. Iscritto al Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile (MaCSIS) all’Università Milano-Bicocca per fare della sua passione una professione.
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